mercoledì 25 gennaio 2017

Tuo figlio strappa i capelli? Scopri come puoi aiutarlo

L'abitudine di strapparsi i capelli o peli in varie zone del corpo prende il nome di Tricotillomania ed è un problema che può avere spiacevoli conseguenze in chi lo presenta sia su un piano fisico che da un punto di vista psicologico.

Si stima che la presenza della Tricotillomania nella popolazione sia nella percentuale dell' 1 o 2%, che il problema colpisca più frequentemente le femmine e che abbia una causa prevalentemente genetica.

Sembra che una delle conseguenze positive che la persona ottiene con questo tipo di comportamento sia la riduzione della tensione emotiva.

La Tricotillomania si distingue in due tipologie:

1) Un primo tipo che riguarda bambini molto piccoli (fino ai 5 anni di età). Questa tipologia non rappresenta necessariamente un problema e può scomparire da se.

2) Un secondo tipo che prosegue o che inizia oltre il lasso di tempo precedentemente riportato. Questo tipo di Tricotillomania deve essere trattato quanto prima poichè diversamente tende a cronicizzare.

È importante sottolineare che non necessariamente la Tricotillomania è legata a qualche disturbo più grave di tipo psicologico ma le conseguenze personali di chi la vive possono essere importanti.

Tra le principali troviamo:

- senso di vergogna. Un bambino o un adolescente che soffre di tricotillomania sente di essere l'unico al mondo con questo problema, ha paura che gli altri lo scoprano e che lo possano prendere in giro o che i genitori lo sgridino. Per nascondere la perdita dei capelli dovuta allo strappo può indossare spesso un capello o una bandana o cambiare frequentemente acconciatura.

- tristezza. Si accompagna spesso alla sensazione di perdita di controllo. Un bambino o un ragazzo con Tricotillomania ha solitamente già provato per suo conto a smettere di strappare i capelli o i peli, senza successo. Quindi si sente incapace, impotente rispetto alla situazione spiacevole in cui si trova.

- ansia. Insieme alla paura accompagna quei bambini e ragazzi che sono stati spesso rimproverati dai genitori a causa del loro comportamento e che temono punizioni o umiliazioni da parte della loro famiglia.

- bassa autostima. Si accompagna ad un'insoddisfazione per il proprio aspetto fisico, causata dal ripetersi degli strappi, che causano danni di tipo estetico.

- senso di colpa. Ogni volta che il bambino o il ragazzo mette in atto questo tipo di comportamento si sente in colpa e tale emozione può essere la causa scatenante per l'inizio di ulteriori comportamenti di strappo, utilizzati per ridurre la tensione psicologica.


Cosa può fare un genitore se si accorge che il proprio figlio si strappa capelli o peli?

1) Non rimproverarlo. Non serve, e può solo peggiorare il problema.

2) Cercare aiuto. Contattare un terapeuta competente nel trattamento di questo tipo di problemi.

3) Cercare informazioni sulla Tricotillomania. In Italia non esiste moltissimo sull'argomento ma ci sono siti in inglese come www.bfrb.org che riportano informazioni in maniera completa.

4) Mostrarsi comprensivi, amorevoli e supportivi. Vostro figlio è ben altro che non il suo problema.

5) Essere fiduciosi nella possibilità di un miglioramento o nella risolizione completa del problema. Tenere presente che prima si chiede un aiuto specializzato, più facilmente si può ottenere un risultato positivo.

Infine posto un video prodotto dal Trichotillomania Learning Center (in inglese) che parla della difficoltà ma della successiva riuscita da parte di alcuni papà nell'accettare e nell'essere d'aiuto ai propri figli con un problema di Tricotillomania.


sabato 21 gennaio 2017

Perchè a volte è difficile prendere decisioni?


Ci sono diversi motivi per i quali una persona potrebbe avere difficoltà nel prendere decisioni.

Le scelte spesso comportano sacrifici o perdite e ciò è qualcosa che alcune persone possono trovare insopportabile.
Scelte di vita significative come il luogo in cui vivere, se cambiare o meno lavoro, se proseguire o troncare una relazione affettiva sono comprensibilmente difficili e possono paralizzare l'individuo.
 Essere in grado di lasciare una delle due alternative può influenzare altre decisioni della quotidianità. E 'un peccato quando qualcuno sceglie o accetta di fare una determinata cosa e passa tutto il tempo rimpiangendo l'alternativa scartata, non riuscendo a godere di nulla della nuova situazione.

Un altro motivo è essere eccessivamente preoccupati o troppo dipendenti dalle opinioni degli altri. Questo può portare una persona a non essere in grado di compiere dei passi senza aver prima consultato le persone "di fiducia" che le stanno intorno, nella speranza di arrivare alla scelta ottimale. È come se in qualche modo gli altri fossero in una condizione maggiormente favorevole per determinare ciò che potrebbe essere giusto. 
In questi casi, ciò che dovrebbe essere una decisione personale diventa una decisione "di gruppo".

Un' ultima ragione potrebbe essere data dal fatto che alcune persone sono "ossessionate" dall'idea di prendere la decisione "giusta" in senso generale e non quella che potrebbe essere la migliore per loro. Se si ragiona in termini di "giusto-sbagliato", il processo decisionale potrebbe complicarsi perché ipotizzare l'idea di fare la scelta sbagliata può far dubitare la persona circa la propria capacità di scegliere correttamente in senso più generale.


Vai alla fonte in lingua originale



Come fare per prendere una decisione



Quindi, come fare per non sentirsi in balia dell’ansia e rimanere paralizzati di fronte ad una presa di decisione?

1)      Pensare che ogni soluzione può avere lati positivi e negativi. La situazione che si lascia non è completamente negativa e nemmeno quella che si trova sarà completamente positiva. Riflettere sul fatto che “così è la vita” e non esiste una soluzione perfetta in assoluto.

2)      Non chiedere troppi pareri o consigli agli altri. Ogni persona porterà il suo punto di vista, aumentando la propria confusione e quindi la propria indecisione. Scegliere tuttalpiù una persona di fiducia con la quale confrontarsi.

3)      Cercare di prevedere quali potrebbero essere realisticamente i problemi che si potrebbero incontrare nel percorrere una tra le strade possibili e pensare in anticipo alle risorse che potrebbero essere messe in campo per risolverli.

4)      Pensare che chiunque si trova di fronte nella vita a scelte piccole e grandi e può avere dubbi e difficoltà nel decidere. Non ragionare in termini di tutto o nulla. Non esiste in assoluto un’alternativa che ha solo svantaggi né una che ha solo vantaggi.

5)      Pensare che, in alcuni casi, è possibile tornare sui propri passi e che anche questo è normale ed accettabile.

In sintesi: le persone in alcune situazioni fanno fatica a prendere decisioni.
Questo può avvenire perché si pensa ci sia un’alternativa migliore in assoluto delle altre e si teme di non riuscire a coglierla oppure perché si cerca eccessivamente il consenso e l’opinione degli altri oppure ancora perché si ritiene di non essere dei bravi decisori.
Se si ragiona in maniera più approfondita si può concludere però che non esistono decisioni in assoluto migliori e che l’eccessivo confronto con gli altri ci espone al rischio di un aumento della confusione.

C’è bisogno quindi di assumersi la responsabilità di accettare una parte di rischio, pensando che tutti noi siamo chiamati, prima o poi, a farlo.

immagine da quipsicologia.it

















martedì 17 gennaio 2017

Balbuzie nei bambini: consigli per i genitori

Quello che vorrei raccontare oggi è un caso di balbuzie, che ho risolto in maniera positiva.
Ho incontrato Fabrizio, un bambino di 10 anni che da due presenta un problema di balbuzie. A scuola, ma anche a casa e con gli amici "incespica" mentre parla, al punto che è diventato difficile comprenderlo. Le maestre, preoccupate per lui, hanno suggerito ai genitori di chiedere una consulenza sia logopedica che psicologica, per risolvere il problema.
La situazione non è semplice perché, nonostante i compagni di scuola non lo prendano assolutamente in giro per la sua difficoltà, lui si sente talmente a disagio che ultimamente evita di prendere la parola in classe e i risultati scolastici stanno peggiorando.
Inoltre sembra che tenda ad evitare le situazioni di gioco e di scambio verbale con i compagni, forse per la paura di "esporsi" al loro giudizio o ai loro commenti.
Quando incontro i genitori di Fabrizio, loro me lo descrivono come un bambino molto intelligente e sensibile, emotivo e curioso.
Mi riferiscono che quando ha iniziato a balbettare loro erano molto a disagio e lo rimproveravano spesso per questa sua difficoltà, attribuendola a distrazione o a mancanza di volontà.
Quando incontro seccessivamente Fabrizio mi rendo conto che il problema effettivamente è serio. Le ripetizioni sono molte e lui sembra davvero a disagio per questo problema.
Consiglio ai genitori una valutazione logopedica con una collega di fiducia, che inizia una prima parte del trattamento, costruendo con il bambino una relazione di fiducia e iniziando ad insegnargli le prime tecniche per il controllo del suo eloquio.
Non appena Fabrizio dimostra di essere in grado di padroneggiare queste tecniche iniziamo il lavoro psicologico vero e proprio.
Nelle prime sedute dedico una parte del tempo anche io a costruire una relazione di fiducia con lui. Lo faccio attraverso il gioco e attraverso alcuni semplici e divertenti esercizi di rilassamento.
Successivamente applico con lui il metodo del time out.
Ciò significa che lo faccio parlare per alcuni minuti su un argomento concordato in precedenza e, quando si inceppa, distolgo l'attenzione per alcuni secondi, dandogli il gempo di corregersi applicando una tra le tecniche apprese con la collega.
Ogni volta che riesce a correggersi e a ripartire correttamente applico uno smile su una tabella a più colonne e al raggiungimento di 5 smile preparo una piccola sorpresa da dargli.
Contemporaneamente suggerisco ai genitori di non rimproverarlo per la sua difficoltá e insegno loro alcuni esercizi da mettere in pratica con lui a casa.
Fabrizio impara nel corso di tre mesi a controllarsi di più ma non si sente ancora sicuro a scuola e lì tende ancora a "nascondersi" e a non prendere la parola.
D'accordo con le maestre inizio degli esercizi di esposizione graduale.
Inizialmente chiedo al bambino di immaginarsi a scuola, durante una verifica orale, mentre parla e riesce a correggersi applicando una delle tecniche che conosce.
Poi facciamo delle prove nel mio studio. Mettiamo in atto un vero e proprio gioco di ruolo in cui io faccio la parte della maestra e lui deve parlare a voce alta applicando le tecniche che conosce.
Poi chiedo alle maestre di farlo parlare in classe per poco tempo su argomenti che conosce bene e verso in quali si sente sicuro.
In questo modo Fabrizio prende gradualmente fiducia in se stesso.
Progressivamente le maestre lo fanno parlare per un tempo sempre crescente, lodandolo (a tu per tu) quando dimostra di impegnarsi ad applicare i metodi che ha imparato.
Man mano Fabrizio diventa sempre più abile nel controllarsi e anche l'ansia nel comunicare con gli altri diminuisce.
Ora evita sempre meno situazioni e sembra più inserito nel gruppo classe.
Anche i genitori sono soddisfatti e, nell'arco di pochi mesi, il lavoro può considerarsi concluso.



Quindi, cosa possono fare in prima battuta i genitori in presenza di un figlio che balbetta?

1) Se il bambino è molto piccolo (età prescolare) il problema tende a rsiolversi spontaneamente per cui non è opportuno darvi risalto.

2) Se il bambino è più grande (etá scolare) e il problema persiste da più di 8/10 mesi è opportuno chiedere una consulenza specializzata ad un logopedista o ad uno psicologo esperto nel trattamento della balbuzie.

3) Non sgridare il bambino per la sua difficoltà perché si potrebbe ottenere l'effetto di aumentare ansia e stress con un conseguente peggioramento del problema.

4) Quando si parla con il bambino rallentare la velocità dell'eloquio. Ciò significa parlare più lentamente del normale.

5) Guardare il bambino negli occhi mentre si parla con lui anche se incespica. Ciò gli trasmette calma e attenzione nei suoi confronti.

6) Lasciare che il bambino finisca di dire ciò che vuole dire, anche se fatica. Ciò gli trasmette calma e interesse.

7) Non parlare del suo problema davanti ad altre persone perché questo potrebbe aumentare in lui il livello di ansia e il timore di essere giudicato.


In sintesi abbiamo visto come il problema della balbuzie in una buona parte di casi sia risolvibile o migliorabile.
Importante però è prenderlo per tempo non aspettando che, se sono già trascorsi parecchi mesi, il problema si risolva da solo.
È anche importante un atteggiamento calmo e comprensivo da parte dei genitori e delle persone che sono a contatto con il bambino.

Fonte immagine: leonardo.it


martedì 10 gennaio 2017

Ansia..che ti passa!

Quella che vorrei raccontare oggi è la storia di Paola, una ragazza di 25 anni (ogni riferimento che possa rendere identificabile la persona è stato eliminato) con una "singolare" paura: quella di prendere la metropolitana. Paola vive a Brescia, dove da qualche tempo è stata inaugurata la metropolitana: nuovissima, pulita e comoda per raggiungere alcune zone della città.
Ma Paola ha paura di salirvi e percorre ogni giorno strade trafficate per andare al lavoro, quando sarebbe più comodo, più veloce e meno costoso spostarsi con la metro. Questa paura è ancora più "strana" se pensiamo che Paola è una ragazza molto intelligente, capace sul lavoro apprezzata dagli altri. Inoltre con la propria auto è in grado di raggiungere qualsiasi destinazione ma non riesce a percorrere nemmeno lo spazio di una fermata.

Cosa sta succedendo a Paola? Perché ha questa difficoltà?

Durante i primi colloqui mi racconta che quando era poco più che una ragazzina era andata con i genitori a Milano per una gita e le era capitato di perdersi per qualche minuto all'interno della metropolitana.
Si era voltata per un attimo e, in mezzo alla confusione e alla grande quantità di persone, aveva perso di vista i suoi genitori. In quei pochi minuti si era sentita persa, in preda ad un'ansia molto forte, che si era manifestata con tachicardia e capogiri.
Al ricordo di quelle sensazioni riferiva che era convinta che in quel momento avrebbe potuto morire all'istante.
Da quel momento era nata fortissima in lei la paura di riprovare quelle sensazioni, che associava all'essere all'interno di una metropolitana.
In sostanza pensava: ogni volta che andrò in metropolitana proverò quelle sensazioni, cosi forti che potrei morire.

La prima cosa su cui abbiamo lavorato io e Paola è stato ricondurre quei sintomi così fastidiosi e spaventosi a una "semplice" ansia. Sicuramente forte, sicuramente fastidiosa, ma di ansia si trattava. È poichè la natura ci ha dotato di tutte le emozioni possibili, perche avrebbe dovuto fornire l'uomo di un'emozione potenzialmente in grado di provocarne la morte? Questo ovviamente non è possibile, perciò ' abbiamo appurato che di ansia non sì può morire.

Il secondo passo è stato far sperimentare a Paola i sintomi dell'ansia che lei maggiormente temeva, per dimostrarle la loro non pericolosità. Abbiamo quindi indotto una situazione di tachicardia e di capogiri sperimentando degli esercizi fisici (correre sul posto, girare su se stessi) in seguito ai quali Paola si è  resa conto di poter tollerare quelle sensazioni che non le procuravano nulla di grave o irreparabile ma soltanto un po' di fastidio.

Il terzo passo è stato esporsi con l'immaginazione alla situazione temuta. Ho quindi fatto immaginare a Paola di trovarsi nella situazione temuta, le ho chiesto di monitorare il livello di ansia sperimentato e abbiamo terminato l'esercizio quando l'ansia aveva raggiunto il livello più basso possibile.

Il quarto passo è stato esporsi in vivo, in modo graduale, alla situazione temuta.
In primo luogo le ho chiesto di percorrere un piccolo tratto in metropolitana. Solo quando si è sentita più sicura abbiamo gradualmente aumentato la tratta da percorrere, arrivando nell'arco di qualche mese a riuscire ad attraversare tutta Brescia.

La soddisfazione, sua e mia, ovviamente è stata grande e ci ha permesso di trarre alcune conclusioni.

1. L'ansia in se' non è pericolosa. Fastidiosa si, ma non pericolosa.

2. È possibile abituarsi alle sensazioni che l'ansia da', diventanto sempre meno sensibili ad esse.

3. Più spesso verranno sperimentate situazioni in cui si prova ansia, meglio e prima ci si abituerà ad essa, finendo con il provare progressivamente meno ansia.

4. Se si evitano le situazioni che generano ansia, questa non sparirà, anzi, si rafforzerà, rendendo sempre più difficile affrontare quelle situazioni

5. L'ansia non affrontata tende a volte a "diffondersi" cioè a manifestarsi in più situazioni, diminuendo la qualità della vita della persona.

Il senso del titolo del post è quindi questo: non possiamo pensare che l'ansia passi da sola. O meglio, un'ansia che dura da tempo, che è rivolta a situazioni specifiche, che si accompagna sistematicamente a pensieri di un certo tipo, è difficile che svanisca da se'. L'ansia diminuisce solo se ci abituiamo a sperimentarla in modo graduale, notando che non produce in noi nulla di drammatico o irreparabile.

Per approfondimenti consiglio la lettura del libro "Il manuale dell'ansia e delle preoccupazioni" di D. Clark e A. Beck in cui vengono illustrati chiaramente i passi da compiere per superare una condizione ansiogena.





(Foto da Wikipedia)