martedì 12 dicembre 2017

Sintomi fisici e ipocondria

È molto che non aggiorno il blog a causa di un intenso periodo lavorativo "sul campo" ma ci terrei a portare oggi un tema che è molto interessante e che mi capita molte volte di riscontrare nel lavoro con i miei pazienti.
Mi riferisco a come vengono interpretati alcuni sintomi fisici da parte di persone che soffrono di ipocondria o che comunque hanno preoccupazioni molto intense rispetto alla propria salute in assenza di oggettivi riscontri medici.
Immagine da mypersonaltrainer.it

Capita spesso che si creino dei circoli viziosi ad esempio di questo genere:
la persona si sente ansiosa (spesso è un ansia di tratto, il che significa che il paziente è "fatto così") e nota alcuni segnali del corpo (ad esempio tremori, dolore al petto, nausea, mal di stomaco) e attribuisce tali sintomi non ad una condizione ansiosa, ma ad una malattia organica.
Ovviamente da qui la persona, agitandosi ulteriormente, va a peggiorare quelle sensazioni fisiche, convincendosi ancora di più che c'è qualcosa che non va.
La peculiarità del ragionamento dell'ipocondriaco poi è di ricondurre tali sintomi alla presenza di una grave malattia (solitamente tumori, malattie degenerative ecc). Le eventuali ipotesi minori (malattie meno gravi, ansia...) non vengono prese in considerazione.
Un ruolo importante in questo senso è quello di internet. Oggi tutti noi abbiamo a disposizione moltissime informazioni che però purtroppo non sono filtrate, sono generali, tanto che se viene digitato in Google "mal di testa" compaiono tantissime informazioni che paventano situazioni che arrivano fino al tumore. La persona ipocondriaca si concentrerà sicuramente sulle informazioni più catastrofiche, aumentando esponenzialmente il proprio livello di ansia.
Un ulteriore errore che il paziente ipocondriaco compie è di concentrarsi molto sui sintomi che lo spaventano. Portare l'attenzione su quei sintomi li rende sempre più evidenti e sempre più spaventosi. 
Quindi una parte importante del lavoro con chi soffre di eccessive preoccupazioni per la propria salute è insegnare a distinguere tra sintomi di una malattia e sintomi dell'ansia, che vengono erroneamente interpretati. Questo aiuta il paziente a "rimettere le cose al proprio posto". Una cosa è l'ansia, fastidiosa ma benigna, una cosa è una malattia fisica. 
Un secondo obiettivo del lavoro riguarda il divenire consapevoli che le ricerche dei propri sintomi in internet non producono effetti positivi sull' ansia. 
Questo aiuta la persona a comprendere che alcuni comportamenti, del tutto in buona fede, non aiutano. 
Un'altra parte molto importante è insegnare al paziente a ragionare ad "ampio raggio", tenendo presenti tutte le possibili cause di un determinato sintomo, non solamente le peggiori che vengono alla mente. 
Questo modo di ragionare è molto importante perché è più razionale e aderente alla realtà rispetto al focus ristretto del ragionamento ipocondriaco. 

sabato 21 ottobre 2017

Ansia: conoscerla per combatterla

Martedì 24 Ottobre alle 20.30 a Bornato terrò un incontro aperto a tutti presso la Sala Civica, promosso in collaborazione con la Biblioteca di Cazzago San Martino, dove spiegherò cos'è l'ansia, perchè nasce, come si mantiene, se ci sono persone più o meno predisposte ad averla, come contrastarla efficacemente.

Sarà un incontro interessante, condotto in maniera semplice ma nello stesso tempo approfondita. Chi mi segue sa che cerco di rendere sempre questi incontri coinvolgenti e soprattutto fruibili da parte di tutti.




Quindi..vi aspetto a Bornato!

venerdì 22 settembre 2017

Le soddisfazioni professionali

Nel mio lavoro affronto molte situazioni difficili e le vere soddisfazioni arrivano quando si notano dei miglioramenti tangibili nella vita dei miei pazienti. Ci sono cose che le persone prima di affrontare un percorso di psicoterapia non riescono a fare e che già mentre il percorso è in atto pian piano riescono a mettere in pratica. 




Ultimamente mi è capitato di aiutare una ragazza con un problema di attacchi di panico, che alcuni anni fa, mentre percorreva una certa strada, aveva avuto un forte attacco e che da quel momento non era più riuscita nè a guidare in quel tratto di strada,si trattava di una strada extraurbana, nè a percorrere strade extraurbane in nessun luogo. 

Ovviamente ho messo in pratica il metodo cognitivo comportamentale e e dopo alcuni colloqui in studio ho accompagnato la persona alla guida, proprio in quella strada che evitava da tanto tempo.
La prima volta abbiamo percorso quel tratto di strada insieme, lei guidava ed io ero seduta a fianco ed è stato difficile per lei perchè, nonostante avesse interiorizzato il concetto che anche se avesse provato ansia non sarebbe successo nulla di catastrofico, provare determinate sensazioni fisiche non è mai piacevole.

Mano a mano questa ragazza ha iniziato a percorrere la stessa strada senza più la mia presenza al suo fianco ma io guidavo la mia auto dietro la sua. In questo modo la difficoltà per lei aumentava ma poteva ancora contare "sulla mia presenza" anche se in modo meno diretto.
Poi non appena si è sentita più sicura ha iniziato a percorrere da sola quel tratto di strada meravigliandosi di come riuscisse a farlo sperimentando si un pò di ansia (ma nemmeno troppa) ma comunque riuscendo in un'impresa che si era preclusa da anni!
Un giorno, mentre percorrevamo un tratto nuovo (e quindi più difficile) di strada insieme ed io era seduta in auto con lei mi ha detto: "Non mi sembra vero, riesco a guidare!". 
Ecco, queste per me sono le soddisfazioni professionali...

giovedì 10 agosto 2017

Bambini e paura della morte: che fare?

Anna (ogni riferimento che possa rendere la persona riconoscibile è stato eliminato) è una bambina di 9 anni che da un pò di tempo presenta dei sintomi che stanno facendo molto preoccupare i suoi genitori.

Da un paio di mesi infatti, verso sera, ha dei picchi di ansia molto intensi, che si potrebbero definire veri e propri attacchi di panico: fatica a respirare, ha la sensazione che le manchi l'aria, le gira la testa. 
In quei momenti, se si trova fuori casa, chiede con insistenza di essere riportata a casa e vuole assolutamente la presenza di almeno uno dei suoi genitori.

La mamma e il papà di Anna hanno più volte chiesto alla bambina cosa avesse, cosa si sentisse in quei momenti, ma la bambina si era sempre rifiutata di rispondere.
La mamma di Anna, assolutamente in buona fede, cercando di capire o di aiutare aveva a volte detto alla bambina: "Ma insomma Anna, cos'hai? Alla tua età i bambini dovrebbero solo giocare e divertirsi, perchè stai così?". Ma anche in questo caso non aveva ottenuto risposta.

I genitori mi riferiscono che da poco Anna ha perso uno zio al quale era legata, morto in maniera improvvisa. A loro sembra però che la morte dello zio non sia collegata al malessere della bambina, anche se lei si rifiuta di andare al cimitero sulla sua tomba.

I genitori di Anna si rivolgono quindi a me per capire cos'ha la loro bambina e per aiutarla a superare questo momento difficile.



Quando incontro Anna la prima volta mi trovo di fronte ad una bambina apparentemente piuttosto chiusa ma allo stesso tempo curiosa di cosa io potessi dirle e delle attività che le avrei potuto proporre.



paura della morte nei bambini
immagine su tuttomamma.it



Inizio spiegando ad Anna che i suoi genitori sono dispiaciuti perchè vedono che sta soffrendo e che vorrebbero fare qualcosa per farla stare meglio. Spiego anche che il mio ruolo è aiutare loro a capire ma soprattutto lei a superare questo momento difficile.

Le chiedo quindi di spiegarmi come si sente quando alla sera le capita di stare poco bene.
Lei mi descrive puntualmente i sintomi, che riconduco alla presenza di una forte ansia.
Però nemmeno a me Anna vuole dire cosa pensa, cosa la fa stare male.

Allora propongo un indovinello, ipotizzando che il suo malessere sia legato alla morte dello zio.
Le faccio varie ipotesi chiedendo di dirmi, come in un gioco, "acqua", "fuochino", "fuoco" quando mi fossi avvicinata all'ipotesi giusta e lei accetta.
In pochi minuti arriviamo all'ipotesi giusta: Anna ha paura che la morte venga e se la porti via improvvisamente, così come è accaduto allo zio.

Nel momento in cui "indovino" la corretta causa della paura, Anna scoppia in un pianto liberatorio e mi confida che non ne aveva mai parlato con i suoi genitori per paura di essere rimproverata per aver avuto verti pensieri.

Da qui la strada per noi è in discesa.

Spiego ad Anna che la sua reazione è normale, in risposta alla perdita improvvisa di una persona cara.

Inoltre, poichè Anna temeva che i segnali della paura (mancanza d'aria, capogiri) fossero il segnale di una morte imminente, spiego che quelli altro non erano che sintomi di ansia o di paura e che quindi non erano per niente pericolosi.

Le insegno anche una tecnica di rilassamento per ricondurre alla normalità questi segnali del corpo.

Infine le spiego che è piuttosto improbabile che un bambino muoia improvvisamente, senza motivo e che invece una persona adulta o anziana può avere delle malattie che magari non sono scoperte se non quando è troppo tardi, ma che comunque ci sono e che portano il corpo, pian piano ad ammalarsi.
Le spiego anche che questa non è la situazione più frequente e che di solito le malattie vengono riconosciute per tempo e che i medici cercano di fare tutto il possibile per curare le persone, una buona parte delle volte riuscendoci. 

Dopo qualche seduta Anna è più serena, non ha più gli attacchi di panico serali e ha persino accettato di andare al cimitero a fare visita allo zio.
Ho suggerito ai genitori di parlare con la bambina dello zio e delle emozioni che la sua morte aveva suscitato e potrebbe nuovamente suscitare ogni volta che la bambina desideri farlo, accettando e non bloccando ogni manifestazione delle stesse, senza giudizi o censure.

Se avete trovato interessante questa storia condividetela con chi pensate sia alle prese con un momento di lutto che investa anche dei bambini, potrebbe essere loro d'aiuto.


mercoledì 12 luglio 2017

Come comportarsi se il proprio partner ha un problema di ansia eccessiva

Amare una persona piena di ansie e paure può essere difficile.

Potresti aver tralasciato per questa ragione molti fra i tuoi hobbies. 

Oppure potresti esserti caricato di molte responsabilità, quelle che il tuo partner non riesce ad assumersi. 

Forse il tuo partner potrebbe essere così in difficoltà da non riuscire più a lavorare e le vostre finanze potrebbero averne risentito.

Potresti sentirti arrabbiato per come sta andando la tua relazione di coppia.

Uno studio condotto dall'"Anxiety Disorder Association of America" (ADAA) ha rivelato come le persone che soffrono di un disturbo d'ansia generalizzato ritengono che la loro relazione affettiva sia poco supportiva ed amorevole. 

Se ami una persona con un problema di ansia potresti trovarti di fronte a numerose sfide. 


immagine su huffingtonpost.it


Ecco alcuni modi in cui puoi affrontare la situazione.

1) Cerca informazioni sull'ansia e sui disturbi d'ansia. 

Comprendere la portata di un problema di ansia può essere difficile perchè il/la tuo/a partner può sembrarti abbastanza a suo agio mentre ti sta dicendo che in quel momento sta vivendo un attacco di panico e questo potrebbe portarti a sottovalutare la portata del problema. 
Commenti come "in fondo stai bene" o "devi solo rilassarti" in genere non sono bene accetti quando una persona sta vivendo un momento di difficoltà.
Cercare informazioni corrette da fonti attendibili ed autorevoli o leggere testi sui disturbi d'ansia potrebbe portarti ad avere una visione corretta del problema e scopriresti che i disturbi d'ansia si possono nella maggior parte dei casi risolvere o quantomeno migliorare.


2) Suggerisci al/alla tuo/a partner di cercare un aiuto professionale per il suo problema.

Se il/la tuo/a partner non sta seguendo alcuna terapia, cerca di parlare con lui/lei ed incoraggiarlo/la ad intraprenderne una. 
Ovviamente chi soffre di un problema con l'ansia deve essere d'accordo in prima persona ad intraprendere un percorso terapeutico ma sapere che il proprio/a compagno/a è d'accordo con questo può essere di grande aiuto. 
Inoltre il terapeuta potrebbe coinvolgerti nel lavoro psicologico chiedendoti di essere parte attiva per aiutare il tuo partner a superare il problema.


3) Arrabbiati con la situazione, non con il/la partner.

Potrebbe capitare che hai dovuto o devi rinunciare a molte situazioni sociali perchè il/la tuo/a partner è in difficoltà nello stare a contatto con le persone o a trovarsi in alcune specifiche situazioni. 
In questi casi è molto importante riuscire a separare la delusione per aver dovuto rinunciare ad un momento piacevole con il sentimento verso il/la partner.
Quindi è meglio dire "Mi spiace molto dover andare senza di te al cinema" oppure "Mi spiace che non possiamo andare al cinema insieme" piuttosto che dire "Tu sei sempre il/la solito/a! Con te non si può fare mai nulla". 
E' molto importante parlare di sentimenti ed emozioni in prima persona (ad esempio "io sento questo" "io provo questo") piuttosto che attribuirne la causa all'altro/a (es. "mi sento così per colpa tua", "Tu mi fai sentire così")

immagine su corriere.it

4) Concentrati sui miglioramenti del partner, per quanto piccoli essi siano.

Le persone che soffrono di ansia eccessiva sono in genere molto sensibili all'incoraggiamento di chi gli sta vicino. 
Non mancare di far notare al/alla tuo/a partner i suo miglioramenti, anche se ti sembrano piccoli o irrilevanti. Non dimenticare che per una persona che ha un problema con l'ansia è un successo fare cose che altre persone fanno senza particolari difficoltà.
Ad esempio per una persona che soffre di attacchi di panico è un traguardo enorme guidare sopra un ponte o in autostrada, se in precedenza non lo faceva per paura di poter avere un attacco di panico.


5) Cerca di riflettere e di cambiare i tuoi comportamenti.

Se ogni volta che il/la tuo/a partner ti chiama al telefono tu rispondi perchè sai che se non lo fai lui/lei proverà ansia, in realtà stai aiutando il problema a mantenersi tale.
Potrebbe dispiacerti non farlo, perchè ti potrebbe sembrare di causare una sofferenza inutile ma come sappiamo, solo passando attraverso l'ansia ci si può rendere conto che molte tra le cose temute non si avverano e che l'ansia si può superare.
Sebbene questa strategia possa sembrare crudele nel breve termine, può risultare molto più utile nel lungo periodo.


6) Fate squadra.

Tu e il/la tua partner dovete essere uniti nell'affrontare il problema. Nessuno dei due è da biasimare se le cose non stanno andando come dovrebbero.
Puoi dire "mi piacerebbe che le cose andassero diversamente" oppure "attraverseremo insieme questa situazione".

come aiutare una persona con attacchi di ansia
immagine su oksalute.it

7) Prendi in considerazione l'ipotesi di chiedere una consulenza di coppia.

La terapia di coppia può essere molto utile da condurre in parallelo con la terapia individuale del/la partner con un problema di ansia.
Questo perchè mette in grado i partner di comunicare al meglio i propri sentimenti, pensieri ed emozioni. In questo modo crea le basi per un ambiente familiare meno stressante all'interno del quale anche il problema dell'ansia può trovare una migliore e più rapida soluzione.


8) Riconosci i tuoi bisogni e prenditi del tempo per te.

Riconoscere i propri bisogni, coltivare le proprie amicizie e portare avanti i propri hobbies è fondamentale e non significa trascurare il/la partner. 
Ricorda che solo una persona forte e sana dal punto di vista psicologico è in grado di "reggere" e aiutare il/la partner con un problema di ansia.


9) Non biasimarti e cerca di essere sereno con te stesso. 

Non criticarti o condannarti. Stai facendo tutto il possibile.




Se ti è piaciuto questo post condividilo con le persone che hanno un/una partner con un problema di ansia. Potrebbe essere molto utile per loro!






mercoledì 5 luglio 2017

Il tuo bambino ha paura dell'acqua? Scopri come puoi aiutarlo

Mi capita alcune volte che qualche mamma mi racconti della difficoltà che il suo bambino ha nel familiarizzare con l'acqua. 
Che sia acqua della piscina o del mare, il bambino ha una gran paura. 

In particolare recentemente ho incontrato nel mio studio una signora che mi spiegava che, per aiutare la sua bambina di 4 anni a superare la paura dell'acqua, l'aveva iscritta ad un corso di nuoto.

Ma anche lì, niente da fare. La bambina piangeva per tutto il tempo della lezione, l'istruttore le aveva provate tutte ma poi sembrava essersi un pò rassegnato a convivere con questa allieva alquanto riluttante. 

Alla mamma però dispiaceva vederla così e alla fine l'aveva ritirata dal corso, non senza sgridarla e ripeterle: "Vedi che tutti gli altri bambini entrano in piscina senza fare storie? Solo tu ti agiti e piangi come una sciocchina!"

Ma il problema permane e, in prossimità delle vacanze estive questa mamma si chiede: come posso aiutare la mia bambina a superare la paura dell'acqua?

Innanzitutto il primo consiglio che mi sono sentita di dare a questa mamma è di ridimensionare le aspettative e darsi (oltre che dare alla bambina) del tempo. Forzare le tappe, spingere oltremodo e troppo velocemente la bambina verso l'acqua, far passare l'idea che ci si aspetta da lei che impari a stare in acqua in quattro e quattr'otto non migliorerà le cose.

Il secondo consiglio quindi, immediatamente discendente dal primo è creare un clima di serenità e di assenza di qualsivoglia aspettativa nei confronti della bambina.

Il terzo consiglio è di prevedere un percorso di avvicinamento per tappe all'acqua. 

La prima di queste potrebbe essere l'osservazione di un'altra bambina, della stessa età o di poco più grande che si diverte nuotando o giocando in mare.
Questa osservazione deve essere condotta non facendo paragoni (es. "vedi lei che brava che non fa storie mentre tu invece...") ma semplicemente facendo notare quanto appunto l'altra bambina si stia divertendo.

immagine da blogmamma.it

La seconda potrebbe essere fare un gioco divertente per la bambina in riva al mare. Si potrebbe giocare a palla (che potrebbe finire nel mare e quindi potrebbe essere necessario andare a recuperarla) o magari con l'innaffiatoio giocattolo prendere un pò di acqua e iniziare ad annaffiarsi i piedi a vicenda.

La terza potrebbe essere costruire dei castelli di sabbia chiedendo alla bambina di andare a prendere con il secchiello l'acqua necessaria in mare.

La quarta potrebbe essere riempire una piscinetta di quelle che si usano per i bambini più piccoli e permetterle di entrare e sguazzare un pò in quei pochi centimetri di acqua importanti per farle "prendere confidenza" con l'acqua.

La quinta potrebbe essere immergere le mani nell'acqua del mare e giocare a rincorrersi per bagnarsi a vicenza.


immagine da bebeblog.it



Poi si potrebbe giocare con le pistole ad acqua riempite con acqua di mare, notando la sensazione di frescura e di benessere che l'acqua fresca porta al corpo in una giornata molto calda nonchè il divertimento stesso che il gioco comporta. 

Quando la bambina si sente pronta si può proporre di entrare in mare, la prima volta solo fino alle caviglie, per poi aumentare gradualmente la parte del corpo raggiunta dall'acqua.
Le prime "immersioni" vanno fatte ovviamente in un contesto di mare tranquillo, che degrada dolcemente, senza onde. 
Ogni successo della bambina (ogni step in più compiuto) può essere premiato con una piccola sorpresina, precedentemente concordata.

immagine da nostrofiglio.it


E' poi utile ricordare che non va assolutamente rivelata ad altri (parenti, amici, vicini di ombrellone) la paura della bambina perchè questi, in buona fede, potrebbero riproporre l'argomento in modi scorretti, magari anche davanti alla bambina stessa, rinforzando in questo modo la paura.

Proprio in questi giorni la famiglia di questa bambina si trova al mare e da una mail della mamma ho appreso che gli esercizi, sebbene siano ancora in fase iniziale, stanno andando per il verso giusto.

Sono sicura che se i genitori continueranno su questa linea ben presto la paura dell'acqua sarà solo un brutto ricordo!

Se questo post vi è piaciuto condividetelo con quei genitori che hanno bambini con paura dell'acqua!



lunedì 19 giugno 2017

Come ho aiutato un ragazzo con manie di controllo.

Fabio è un ragazzo di 25 anni (ogni elemento che renda la persona riconoscibile è stato eliminato) che ha un problema: non può fare a meno di controllare più volte molte cose che fa.

I controlli più frequenti riguardano:

- se ha spento il gas della cucina

- se ha chiuso l'automobile

- se ha chiuso gli sportelli della cucina

- se ha chiuso la porta di casa

Da tempo Fabio mette in atto questi controlli ma ultimamente, da quando ha cambiato lavoro, le cose sono peggiorate.
I controlli sono sempre più frequenti e in ogni situazione servono più controlli a Fabio prima di sentirsi "a posto".
Quando ci incontriamo la prima volta in studio Fabio sembra molto sofferente per la sua situazione perché, testuali parole, "gli sembra di essere pazzo".
Mi dice che anche il sonno ultimamente è disturbato perché a volte si sveglia nel cuore della notte e lo assale il dubbio di non aver chiuso l'automobile. Così si sente "costretto" a scendere in strada a controllare.

La prima cosa che ho chiesto a Fabio è quale pensava potesse essere la conseguenza peggiore che potesse verificarsi nel caso in cui la macchina rimanesse effettivamente aperta.
Lui ci.ha ragionato sopra e ha concluso: "forse la peggiore conseguenza potrebbe essere.. nulla". Non credo interessi a qualcuno una macchina vecchia di 10 anni! O magari qualcuno potrebbe rubare l'autoradio. Tutto sommato, se questo si verificasse non sarebbe poi così tremendo o irreparabile".

Un'altra riflessione che abbiamo fatto è stato riconoscere il funzionamento dell'ansia.
Se in preda ad una forte preoccupazione ci si accorge che controllando più volte il risultato delle proprie azioni l'ansia si placa, si potrebbe avere la necessità le volte successive di controllare ancora, poiché quello diventa un modo "efficace" per stare meglio.
Il problema è che andando avanti si diventa sempre più dipendenti dai controlli fino a che aumenta sempre più il tempo che questi occupano e la frequenza degli stessi.

In realtà l'ansia è un'emozione che "passa" senza bisogno di fare alcun controllo.
È sufficiente ragionare in modo differente (ad esempio pensando a quali siano le conseguenze possibili ad una propria negligenza e a quanto è probabile si verifichino).

ossessioni e compulsioni
immagine su apc.it
Un altro step è stato fare un elenco dei vantaggi e degli svantaggi delle manie di controllo. Questo elenco è stato fatto in forma scritta al fine di rendere più chiaro possibile il costo pagato Fabio a fronte di una momentanea riduzione dell'ansia.

Successivamente siamo passati alle prove di esposizione vera e propria. Si chiamano così quegli esercizi in cui la persona si mette alla prova e cerca di resistere dal mettere in atto i controlli.
Per prima cosa abbiamo individuato le situazioni meno difficili da gestire. Fabio ha deciso di partire dal controllo dell'automobile, poiché quella gli sembrava la situazione più semplice da affrontare.
Gli ho chiesto di sforzarsi di chiudere l'automobile e poi di non controllare più. Le prime volte è stato piuttosto difficile tanto che Fabio ha richiesto il mio supporto "dal vivo" per fare questo esercizio. Allora abbiamo provato insieme a chiudere l'automobile per poi allontanarci senza fare ulteriori controlli. Con il mio aiuto "da vicino" l'ansia è stata più sopportabile e Fabio si è accorto che ricordando i ragionamenti fatti durante le sedute, si abbassava più rapidamente di quanto potesse immaginare.

immagine su psicomodena.it


Quando si è sentito più sicuro ha voluto provare da solo e in breve tempo è riuscito a gestire bene la situazione, senza bisogno di ripetere i controlli.

Successivamente abbiamo fatto lo stesso tipo di esercizio per tutte le altre manie di controllo.
Dopo 8 mesi dall'inizio della terapia Fabio ha potuto definirsi libero dai controlli.

Abbiamo quindi cercato di capire come il tutto sia iniziato, da cosa abbia avuto origine.
Fabio mi racconta di come anche suo padre avesse lo stesso problema. Ormai sappiamo che nei problemi di ansia spesso entri in gioco l'ereditarietà.
Inoltre quando da bambino Fabio raccontava qualcosa il padre gli ripeteva spesso "ma sei sicuro?"
In questo modo con il passare del tempo in Fabio è cresciuta un'insicurezza "cronica" circa gli esiti degli eventi e delle proprie azioni.
Abbiamo identificato in questo stile educativo genitoriale una delle possibile cause dell'insorgenza del problema.

Poi ovviamente il comportamento principale che ha mantenuto vivo il problema sono stati i controlli stessi. Sono proprio questi che abbassando immediatamente il livello di ansia creano una sorta di dipendenza da cui è difficile liberarsi.

Quindi la storia di Fabio insegna che se hai manie di controllo le cose che puoi fare sono le seguenti.

1) prova a ragionare in modo diverso.

Chiediti quali pensi realisticamente possono essere le conseguenze delle tue paure. Cosa potrebbe realisticamente succedere se dimentichi una luce accesa in casa? O se dimentichi di chiudere la porta? Che probabilità ci sono che ciò che temi si avveri?
Hai mai sentito notizia di gravi conseguenze relative ad alcune tra le tue paure?

2) impara una tecnica di respirazione o di rilassamento che ti aiuti a controllare l'ansia.

3) fai un elenco delle situazioni difficili da affrontare.

4) inizia a lavorare dalla situazione più semplice sforzandoti di non fare controlli. 
Ricorda che stai lavorando per il tuo benessere.

5) rivolgiti ad uno psicologo esperto nel trattamento dell'ansia. Avere manie di controllo non vuol dire essere matti ma solo ansiosi.

martedì 23 maggio 2017

Educazione dei figli: meglio lodi o castighi?

Nel mio lavoro con i genitori mi imbatto spesso in questa domanda: per educare mio figlio sono meglio le lodi, gli apprezzamenti, i complimenti, oppure ogni tanto è opportuno anche sgridare, rimproverare, dare delle punizioni?

Diciamo che un buon piano educativo di tipo genitoriale prevede di saper utilizzare entrambi questi strumenti, tenendo però presente alcune "buone prassi".

LODI:

Non andrebbero date "a casaccio" e in continuazione perchè il bambino potrebbe ritenere di essere speciale in tutto ciò che fa, per poi ritrovarsi con il mondo esterno che ad un certo punto "presenta il conto" e rimette il bambino tenuto su un piedistallo troppo alto al suo posto (e la caduta potrebbe essere abbastanza dolorosa). 
Allo stesso modo appellativi esagerati ("Sei il migliore!" ) non portano gran valore aggiunto e potrebbero fare alla lunga credere al bambino che tutto gli è concesso in quanto, appunto, migliore di tanti altri.

Andrebbero riferite a specifici comportamenti positivi che il bambino mette in atto, o quantomento dovrebbero evidenziare l'impegno profuso nel raggiungere un determinato obiettivo. 
Ad esempio, ad un bambino a cui si sta chiedendo di non picchiare il fratellino e che in una determinata occasione riesce a trattenersi dal farlo, si può dire: "Bravo per aver lasciato tranquillo tuo fratello! Batti un cinque!"

Anche comportamenti che vanno nella direzione di un miglioramento, anche se non centrano perfettamente l'obiettivo che vogliamo il bambino raggiunga possano essere lodati. 
Ad esempio, di fronte ad un bambino che spesso risponde un NO categorico di fronte a qualsiasi tipo di richiesta, ogni qualvolta riporta un lo faccio dopo può essere comunque manifestato una forma di apprezzamento (ovviamente accertandosi che in un secondo momento il bambino faccia quanto concordato)

Nelle lodi e nei complimenti non bisognerebbe fare paragoni tra i comportamenti messi in atto dal bambino e quelli messi in atto da altri bambini. Ad esempio non andrebbe detto: "Tu si che sei bravo a scuola, tuo cugino invece no". 
Questo perchè fa intuire che c'è una graduatoria di merito e magari un giudizio positivo o negativo associato al raggiungimento di un certo tipo di risultato. 
Questo modo di ragionare potrebbe prima o poi penalizzare il bambino stesso, ogni qual volta sente che c'è qualcuno più bravo di lui in qualcosa e che quella bravura è associata ad un sentimento complessivo maggiormente positivo da parte delle figure di riferimento.

immagine da nostrofiglio.it

CASTIGHI, PUNIZIONI:

A differenza di quanto comunemente si potrebbe pensare, anche provvedimenti di questo tipo possono essere utili nella crescita di un bambino, a patto che non diventino troppo frequenti.
Infatti continui castighi o punizioni, che preferirei chiamare "conseguenze negative a fronte di comportamenti negativi" hanno il duplice effetto di rovinare la relazione con il bambino scatenando in lui frequente rabbia e opposizione oppure paura oppure di perdere la loro efficacia.

Per avere un'utilità essi devono avere alcune caratteristiche:

Essere concordati. In un momento di tranquillità va detto al bambino: "La prossima volta che picchi tuo fratello, per tutta quella giornata non guarderai i cartoni animati". 
Questo significa fissare delle regole
Il bambino deve cioè sapere cosa lo aspetta se si comporta male in modo da poter decidere cosa è meglio fare. Ovviamente apprendere questo richiederà un pò di impegno, un pò di pianti e fallimenti.

Essere contingenti al comportamento negativo che il bambino mette in atto. La conseguenza concordata deve essere messa in atto subito o poco dopo il comportamento negativo del bambino perchè questi deve comprendere che le due cose (comportamento negativo e conseguenze) sono associate. 

Essere di breve durata. Non ha senso privare il bambino del tablet per un mese intero perchè in questo mese (che è lungo da passare) potrebbe perdere la motivazione nel mettere in atto comportamenti positivi pensando: "Chi me lo fa fare di comportarmi bene? Tanto sono già in punizione!". Inoltre molti genitori che fissano punizioni "lunghe" si rendono conto strada facendo di non riuscire a farle rispettare e sono costretti a ritrattarle, perdendo di credibilità.

Va sempre ricordato al bambino che noi disapproviamo il comportamento e non la sua persona nel complesso. E' un conto dire: "Sei maleducato e cattivo, perciò ti punisco" e dire "Non mi piace come ti sei comportato perciò come ti avevo detto non guarderai la televisione fino a domani".

La punizione non deve essere di tipo fisico: sculaccioni, o peggio ancora schiaffi, vengono per lo più dati in un momento di rabbia mista a stanchezza estrema e senso di impotenza del genitore. In genere provocano altra rabbia e frustrazione nel bambino, nonchè la tendenza ad imitare questi comportamenti. Insomma, simili "punizioni" non insegnano al bambino alcunchè.

immagine da donnamoderna.it




Ultimo consiglio:
In base allo studio di molti psicologi e pedagogisti e anche alla mia personale esperienza clinica il percorso educativo dei propri figli funziona meglio se le lodi superano in proporzione castighi e punizioni. In altre parole, si ottengono più risultati, in termini di benessere e di comportamenti positivi se il bambino, in proporzione sente di essere apprezzato e valorizzato piuttosto che svalorizzato e punito in continuazione.

E ora..buon lavoro a tutti i genitori!





mercoledì 26 aprile 2017

Federica e gli attacchi di panico

Federica è una donna di 40 anni sposata, con due bambini piccoli. Lavora part time come impiegata ed è sposata con Angelo, responsabile del personale in un'azienda. 

Lo scorso anno è morto improvvisamente il padre di Federica per un attacco cardiaco e da quel momento lei ha iniziato ad avere attacchi di panico, dapprima lievi e sporadici, poi sempre più frequenti ad inaspettati. 

Alla domanda "come mai secondo lei si sono presentati e susseguiti gli attacchi?" Federica non sa rispondere. Sembra che siano "piovuti dal cielo", una sorta di fulmini a ciel sereno che le stanno rendendo la vita impossibile. Infatti da un pò di tempo evita di prendere la macchina se non per fare brevi tragitti, per paura che possa accadere un attacco in macchina che la porti a perdere il controllo della guida e magari a fare un incidente.

Dott.sa Sandra Magnolini esperta nella cura dell'ansia


Vediamo in dettaglio cosa è successo a Federica. 

Le ho chiesto di registrare quotidianamente i suoi pensieri, in particolar modo quelli che precedono gli attacchi di panico e quelli che si verificano in contemporanea ad essi.

Federica riporta i seguenti pensieri: 

"Quando sento il cuore che batte più forte penso che posso morire improvvisamente, come accaduto a papà"

"Non posso sopportare tutto questo, sicuramente mi capiterà qualcosa di brutto"

"Sto per morire e non posso evitarlo"

Il primo passo è stato spiegare a Federica che attacchi di panico e attacchi cardiaci non sono la stessa cosa. 

Infatti, nonostante a livello fisiologico si possano presentare delle sensazioni simili, l'attacco di panico non è pericoloso e non porta alla morte, allo svenimento e alla perdita di controllo.

L'attacco di panico è semplicemente una modificazione nella produzione di alcune sostanze nel corpo dovuta ad una sensazione di allarme. In pratica è come se la mente dicesse al corpo "Attento! Sta succedendo qualcosa di brutto! Attivati per evitarlo!". 
In realtà quel "qualcosa di brutto" sono proprio i pensieri stessi che la persona auto produce ("sto per morire" "morirò come papà").
Quindi il corpo si attiva preparandosi a difendersi da una situazione di presunto allarme e fa battere più forte il cuore, fa tendere i muscoli, aumentare la sudorazione ecc ecc. proprio per mettersi nelle condizioni migliori di essere più pronto ad agire efficacemente. 

Il problema è che un pericolo reale non c'è e quindi è come se il corpo si attivasse inutilmente producendo però delle sensazioni fisiche estremamente sgradevoli.

Il secondo passo è stato far sperimentare a Federica le stesse sensazioni prodotte dagli attacchi di panico ma in modo autoindotto, facendole fare degli esercizi nel mio studio che comportassero un aumento del battito cardiaco (ad esempio correre sul posto, fare su e giù per diverse volte le scale). 
In questo modo Federica ha compreso che i sintomi che si presentano durante gli attacchi di panico non sono pericolosi perchè si possono presentare anche, appunto, dopo una corsa o uno sforzo fisico.

Il terzo passo è stato insegnare a Federica un metodo di respirazione lenta che utilizzi il diaframma. 
Questo metodo consiste nel respirare lentamente (NON profondamente) seguendo un certo schema (indicato al punto 3 di questo post), facendo precedere e seguire a 10 respiri di questo tipo 10 secondi di apnea. Con questo tipo di respirazione in breve tempo il corpo riporta sotto controllo i sintomi del panico.

Il quarto passo è stato esporre gradualmente Federica alle situazioni temute ed evitate per il timore di poter avere un attacco di panico.
In particolar modo Federica evitava di viaggiare in macchina e quindi abbiamo costruito una scala di difficoltà crescente che prevedeva l'affrontare percorsi dapprima brevi, poi sempre più lunghi, fino ad arrivare anche a prendere l'autostrada!

Sono molto contenta di avere aiutato Federica a risolvere il suo problema di attacchi di panico e spero che questo post porti fiducia a coloro che ne soffrono facendo intravedere una via d'uscita ad una condizione di difficoltà.

nb. i dati relativi a questo caso sono stati modificati per non rendere le persone riconoscibili

immagine su psicologi-italia.it


sabato 18 febbraio 2017

Quando la famiglia non accetta la tua separazione: che fare?

James è disperato: i suoi genitori non accettano la fine della sua relazione con la moglie e continuano ad insistere perchè la coppia cerchi una soluzione ai propri problemi e chieda una consulenza ad uno psicologo. 

Questi interventi dei suoi genitori addolorano molto James anche perchè lui e la moglie stanno cercando (e ci stanno riuscendo) di essere solidali e collaborativi nella crescita dei loro figli e di comunicare in modo civile e non rancoroso. 

Ciononostante i genitori di James non accettano la situazione e continuano a lottare perchè la coppia rimanga unita.

come rassicurare i propri genitori
immagine da nostrofiglio.it

Se anche voi vi rispecchiate in questa situazione vi sarete forse chiesti perchè questo accada.

Una prima ragione potrebbe essere il fatto che loro non hanno capito i problemi che la coppia, magari da molto tempo, stava attraversando.
Forse voi e il vostro partner siete stati in grado di non far trapelare nulla delle vostre difficoltà e ai vostri genitori quindi la notizia della separazione (o del divorzio) è capitata come un fulmine a ciel sereno. 
In questo caso i vostri genitori potrebbero pensare che la vostra è una scelta impulsiva e che state distruggendo quella che fondamentalmente era una coppia che funzionava.

Una seconda ragione è che provano affetto per il vostro partner e pensano che con la vostra separazione finirà anche il rapporto che hanno avuto con lui. Si sono affezionati a lui e non vogliono perderlo oppure non sanno come continuare l'amicizia con lui dopo la vostra separazione.

Hanno paura di essere esclusi dalle notizie che riguardano la vostra famiglia.
Spesso capita che in una famiglia sia la moglie a tenere attiva e aperta la comunicazione tra il marito e i consuoceri. Quando c'è in atto una separazione può darsi che i genitori del marito siano preoccupati del fatto che non saranno più cercati come prima.

Una quarta ragione potrebbe risiedere nella paura di perdere i contatti con i nipoti. 
I diritti dei nonni non sono particolarmente considerati nelle decisioni da prendere durante una separazione e loro temono che in conseguenza della situazione potrebbero vedere meno gli amati nipoti.

Vedono la vostra separazione in riferimento alla loro vita matrimoniale. 
Se i vostri genitori hanno avuto una vita matrimoniale insoddisfacente ma non si sono separati potrebbero pensare che anche voi dovreste restare insieme al vostro partner. 
Se sono rimasti insieme "per amore dei figli" potrebbero credere che anche voi dovreste fare la stessa cosa e che se vi separate i loro sacrifici non sono serviti a nulla.

Ecco invece alcune soluzioni che si possono tentare per migliorare la situazione:

1) Comunicate con loro. 
Premesso che dato che siete degli adulti non dovete giustificarvi oltremodo con i vostri genitori per le vostre scelte, se volete che loro comprendano la situazione dovete spiegargliela. Cioè, senza entrare nei dettagli, dovete informarli che avete fatto una scelta ponderata e che intendete affrontare la situazione nel migliore dei modi per voi stessi e per le altre persone coinvolte.

2) Chiedete loro di starvi vicino e, in un momento di tranquillità, ribadite che avete bisogno che vi appoggino senza criticare nessuna delle due parti in causa. Chiedete loro inoltre di stare al di fuori dei ogni conflitto e di non intraprendere azioni apertamente a favore o contro nessuna delle due parti.

3) Rassicurateli sul fatto che continueranno a veder i nipoti.
Una relazione positiva tra nonni e nipoti è molto importante per entrambi. Molti studi dimostrano che i nipoti che hanno un buon rapporto con i loro nonni sono più capaci di gestire situazioni stressanti come ad esempio la separazione dei loro genitori. Rassicurate quindi i vostri genitori sul fatto che farete tutto il possibile per mantenere vivo il loro rapporto con i vostri figli.

rassicurare i propri genitori
immagine da nostrofiglio.it

4) Condividete con loro i vostri programmi per il futuro.

Come sta succedendo a voi, allo stesso modo i vostri genitori stanno per perdere il vostro compagno, che era un riferimento importante per la loro vita. Inoltre stanno anche perdendo la visione del futuro che avevano sempre avuto fino a pochi mesi prima. Potrebbero essere preoccupati per la vostra salute psicologica e per la vostra sicurezza economica. Potrebbero pensare che non siete in grado di svolgere da soli tutti i compiti che prima svolgevate in due o che svolgeva prevalentemente il vostro compagno. 
Condividete con loro le idee su come intendete organizzare la quotidianità d'ora in avanti e chiedete aiuto a loro per alcune questioni pratiche se ne sentite la necessità.

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venerdì 3 febbraio 2017

Come sopravvivere all'adolescenza dei tuoi figli: 6 consigli per i genitori

Essere genitori non è facile, soprattutto durante la prima e la seconda infanzia dei propri figli.
Questi momenti sono fisicamente molto impegnativi e la semplice vigilanza rappresenta una grande sfida. 
In queste fasi della crescita dei propri figli però i genitori sono ricompensati con abbracci, baci e affettuosità in genere. 
Inoltre normalmente in questo periodo della vita si ricevono spesso consigli incoraggianti da parte di altri genitori.

Possiamo dire però che nulla si avvicina alla difficoltà che vivono i genitori con figli adolescenti.
In questo fase della crescita baci e affettuosità scompaiono. Per di più altri genitori che ci sono passati prima di voi non dispensano benevoli consigli ma temibili avvertimenti "E' stato il momento peggiore della mia vita!", "Buona fortuna!". 

Alcuni ricercatori della Arizona State University hanno seguito circa 2200 madri con figli di tutte le età e hanno indagato circa la percezione del loro benessere, la facilità/difficoltà dell'essere genitori e la percezione dei propri figli.
I risultati hanno evidenziato che che l'adolescenza era il periodo più faticoso della vita di queste madri, in particolare quelle con figli dai 12 ai 14 anni. Alcune di loro erano veramente stressate e a rischio di depressione.

come sopravvivere ai figli adolescenti
immagine su mammaoggi.it


Ecco qui alcune strategie di sopravvivenza all'adolescenza dei vostri figli:

1) Abbiate aspettative realistiche. Molti di voi forse pensano che dovreste essere il genitore ideale, amare in modo perfetto, spendervi senza sosta e avere ed offrire soluzioni per ogni problema.

Il nostro cervello ha bisogno di dopamina per provare piacere. Noi generiamo dopamina quando crediamo di aver fatto qualcosa di giusto o di buono.

Durante l'adolescenza dei vostri figli il rischio è di rimanere a corto di dopamina poichè i vostri figli non sono più nella condizione di manifestare affetto e riconoscenza verso di voi. 
Invece, il rischio è di produrre molti ormoni dello stress. 
Bisogna adattarsi ad un ragazzo che è completamente diverso dal bambino di prima e il "lutto" per aver perso quanto prima vi gratificava così tanto può essere veramente difficile da superare.
Inoltre voi siete i primi interlocutori dei principali campi di battaglia dei vostri figli: la vita scolastica, la pressione del gruppo dei pari, la confusione, la turbolenza delle emozioni.
In aggiunta il vostro partner potrebbe eclissarsi e non riuscire a sostenere il peso della situazione e magari qualcuno di voi, in questa fase della vita della famiglia potrebbe attraversare la condizione di menopausa o affrontare la morte dei propri genitori. 

A fronte di tutte queste difficoltà è quindi importante essere estremamente gentili e compassionevoli verso voi stessi. State svolgendo un duro lavoro.

2) Prendetevi cura di voi stessi. Sembrerà un consiglio banale, ma durante l'adolescenza dei vostri figli diventa realmente una tra le cose più belle ed importanti che potete fare. 
Per diminuire gli ormoni dello stress potete passeggiare, fare delle pause, leggere. 
Dove trovate il tempo per questo? Lo dovete rubare! 

3) Chiedete aiuto. Non potete fare tutto da soli. Chiedete aiuto ad un esperto di problematiche adolescenziali, trovate dei punti di riferimento che vi supportino in questa fase delicata della vita di genitore.

4) Concentratevi sul partner e sulla vita di coppia. Cercate di passare del tempo da soli, cercate di fare lavoro di squadra, non trascurate la sessualità e, se serve, chiedete aiuto ad un consulente per la coppia. Quando l'altro parla, non interrompetelo. Non crediate di conoscere esattamente cosa passa per la testa del vostro partner. 

5) Non reprimete le emozioni negative. Piangete se ne sentite la necessità. Come sempre per uscire da una situazione difficile bisogna attraversare il tunnel. 

6) Tenete a mente che di solito le cose funzionano meglio quando mantenete un dialogo aperto con i vostri figli adolescenti. Tenete duro e alla fine tutti gli sforzi daranno i loro frutti. Quando la tempesta finirà tornerete i genitori meravigliosi di sempre. 


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mercoledì 25 gennaio 2017

Tuo figlio strappa i capelli? Scopri come puoi aiutarlo

L'abitudine di strapparsi i capelli o peli in varie zone del corpo prende il nome di Tricotillomania ed è un problema che può avere spiacevoli conseguenze in chi lo presenta sia su un piano fisico che da un punto di vista psicologico.

Si stima che la presenza della Tricotillomania nella popolazione sia nella percentuale dell' 1 o 2%, che il problema colpisca più frequentemente le femmine e che abbia una causa prevalentemente genetica.

Sembra che una delle conseguenze positive che la persona ottiene con questo tipo di comportamento sia la riduzione della tensione emotiva.

La Tricotillomania si distingue in due tipologie:

1) Un primo tipo che riguarda bambini molto piccoli (fino ai 5 anni di età). Questa tipologia non rappresenta necessariamente un problema e può scomparire da se.

2) Un secondo tipo che prosegue o che inizia oltre il lasso di tempo precedentemente riportato. Questo tipo di Tricotillomania deve essere trattato quanto prima poichè diversamente tende a cronicizzare.

È importante sottolineare che non necessariamente la Tricotillomania è legata a qualche disturbo più grave di tipo psicologico ma le conseguenze personali di chi la vive possono essere importanti.

Tra le principali troviamo:

- senso di vergogna. Un bambino o un adolescente che soffre di tricotillomania sente di essere l'unico al mondo con questo problema, ha paura che gli altri lo scoprano e che lo possano prendere in giro o che i genitori lo sgridino. Per nascondere la perdita dei capelli dovuta allo strappo può indossare spesso un capello o una bandana o cambiare frequentemente acconciatura.

- tristezza. Si accompagna spesso alla sensazione di perdita di controllo. Un bambino o un ragazzo con Tricotillomania ha solitamente già provato per suo conto a smettere di strappare i capelli o i peli, senza successo. Quindi si sente incapace, impotente rispetto alla situazione spiacevole in cui si trova.

- ansia. Insieme alla paura accompagna quei bambini e ragazzi che sono stati spesso rimproverati dai genitori a causa del loro comportamento e che temono punizioni o umiliazioni da parte della loro famiglia.

- bassa autostima. Si accompagna ad un'insoddisfazione per il proprio aspetto fisico, causata dal ripetersi degli strappi, che causano danni di tipo estetico.

- senso di colpa. Ogni volta che il bambino o il ragazzo mette in atto questo tipo di comportamento si sente in colpa e tale emozione può essere la causa scatenante per l'inizio di ulteriori comportamenti di strappo, utilizzati per ridurre la tensione psicologica.


Cosa può fare un genitore se si accorge che il proprio figlio si strappa capelli o peli?

1) Non rimproverarlo. Non serve, e può solo peggiorare il problema.

2) Cercare aiuto. Contattare un terapeuta competente nel trattamento di questo tipo di problemi.

3) Cercare informazioni sulla Tricotillomania. In Italia non esiste moltissimo sull'argomento ma ci sono siti in inglese come www.bfrb.org che riportano informazioni in maniera completa.

4) Mostrarsi comprensivi, amorevoli e supportivi. Vostro figlio è ben altro che non il suo problema.

5) Essere fiduciosi nella possibilità di un miglioramento o nella risolizione completa del problema. Tenere presente che prima si chiede un aiuto specializzato, più facilmente si può ottenere un risultato positivo.

Infine posto un video prodotto dal Trichotillomania Learning Center (in inglese) che parla della difficoltà ma della successiva riuscita da parte di alcuni papà nell'accettare e nell'essere d'aiuto ai propri figli con un problema di Tricotillomania.


sabato 21 gennaio 2017

Perchè a volte è difficile prendere decisioni?


Ci sono diversi motivi per i quali una persona potrebbe avere difficoltà nel prendere decisioni.

Le scelte spesso comportano sacrifici o perdite e ciò è qualcosa che alcune persone possono trovare insopportabile.
Scelte di vita significative come il luogo in cui vivere, se cambiare o meno lavoro, se proseguire o troncare una relazione affettiva sono comprensibilmente difficili e possono paralizzare l'individuo.
 Essere in grado di lasciare una delle due alternative può influenzare altre decisioni della quotidianità. E 'un peccato quando qualcuno sceglie o accetta di fare una determinata cosa e passa tutto il tempo rimpiangendo l'alternativa scartata, non riuscendo a godere di nulla della nuova situazione.

Un altro motivo è essere eccessivamente preoccupati o troppo dipendenti dalle opinioni degli altri. Questo può portare una persona a non essere in grado di compiere dei passi senza aver prima consultato le persone "di fiducia" che le stanno intorno, nella speranza di arrivare alla scelta ottimale. È come se in qualche modo gli altri fossero in una condizione maggiormente favorevole per determinare ciò che potrebbe essere giusto. 
In questi casi, ciò che dovrebbe essere una decisione personale diventa una decisione "di gruppo".

Un' ultima ragione potrebbe essere data dal fatto che alcune persone sono "ossessionate" dall'idea di prendere la decisione "giusta" in senso generale e non quella che potrebbe essere la migliore per loro. Se si ragiona in termini di "giusto-sbagliato", il processo decisionale potrebbe complicarsi perché ipotizzare l'idea di fare la scelta sbagliata può far dubitare la persona circa la propria capacità di scegliere correttamente in senso più generale.


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Come fare per prendere una decisione



Quindi, come fare per non sentirsi in balia dell’ansia e rimanere paralizzati di fronte ad una presa di decisione?

1)      Pensare che ogni soluzione può avere lati positivi e negativi. La situazione che si lascia non è completamente negativa e nemmeno quella che si trova sarà completamente positiva. Riflettere sul fatto che “così è la vita” e non esiste una soluzione perfetta in assoluto.

2)      Non chiedere troppi pareri o consigli agli altri. Ogni persona porterà il suo punto di vista, aumentando la propria confusione e quindi la propria indecisione. Scegliere tuttalpiù una persona di fiducia con la quale confrontarsi.

3)      Cercare di prevedere quali potrebbero essere realisticamente i problemi che si potrebbero incontrare nel percorrere una tra le strade possibili e pensare in anticipo alle risorse che potrebbero essere messe in campo per risolverli.

4)      Pensare che chiunque si trova di fronte nella vita a scelte piccole e grandi e può avere dubbi e difficoltà nel decidere. Non ragionare in termini di tutto o nulla. Non esiste in assoluto un’alternativa che ha solo svantaggi né una che ha solo vantaggi.

5)      Pensare che, in alcuni casi, è possibile tornare sui propri passi e che anche questo è normale ed accettabile.

In sintesi: le persone in alcune situazioni fanno fatica a prendere decisioni.
Questo può avvenire perché si pensa ci sia un’alternativa migliore in assoluto delle altre e si teme di non riuscire a coglierla oppure perché si cerca eccessivamente il consenso e l’opinione degli altri oppure ancora perché si ritiene di non essere dei bravi decisori.
Se si ragiona in maniera più approfondita si può concludere però che non esistono decisioni in assoluto migliori e che l’eccessivo confronto con gli altri ci espone al rischio di un aumento della confusione.

C’è bisogno quindi di assumersi la responsabilità di accettare una parte di rischio, pensando che tutti noi siamo chiamati, prima o poi, a farlo.

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