sabato 31 ottobre 2015

Dalla parte dei figli



Proprio oggi su un settimanale ho letto un'intervista al papà di Valentino Rossi.
Premetto che non ho guardato la gara che ha visto in azione i due motociclisti, Valentino e Marquez, nè lo spezzone che mostra la caduta di quest'ultimo. Però commenti e articoli su stampa a social network riportano chiaramente come Valentino abbia reagito malamente a provocazioni ripetute da parte dell'avversario.
Ora, quello che mi ha colpito è ciò che afferma il papà di Valentino. 
La prima riga della sua intervista chiosa "Da padre, ovviamente, sono tutto dalla parte di Valentino". Mi ha colpito il fatto che un genitore, ovviamente, cioè sempre e comunque debba essere dalla parte del figlio, anche quando questi sbaglia. E passa, nell'intervista, a spiegare come la gara fosse mal organizzata, come il figlio avesse fatto di tutto per prevenire l'incidente e come, infine, "per sbaglio" fosse venuto in contatto con l'avversario e questo fosse caduto. 
Tutto ciò fa sembrare come se il genitore non possa dissentire dal punto di vista e dalle azioni del figlio, come se non abbia un suo senso critico. In poche parole è la rinuncia ad esercitare un ruolo, che dal mio punto di vista è distintivo e qualificante in senso positivo di un genitore, soprattutto di un padre: la coscienza morale. 

Valentino Rossi e Marc Marquez - GPOne.com

In molti casi si assiste a genitori che difendono i figli oltre ad ogni ragionevolezza. Figli che commettono reati, che sono prevaricanti sugli altri. Ma la "colpa" è delle circostanze, o, per l'appunto, dell'altro stesso. Forse invece in alcuni casi bisognerebbe riuscire a dire: "Capisco tu sia stato provocato ingiustamente e mi dispiace. Ma non dovevi reagire così ed ora è giusto che paghi le conseguenze del tuo gesto. Io ti starò vicino ma non condivido ciò che hai fatto". Non sarebbe forse questo un comportamento migliore?

sabato 3 ottobre 2015

Aiuto, sono iperattivo!






Capita a volte di imbattersi in genitori, nonni, insegnanti, che sono alle prese con bambini che sono sempre in movimento, che non riescono a rispettare le regole e che tendono facilmente a distrarsi durante l'esecuzione di un compito.
Questo naturalmente, non rappresenta necessariamente un problema, soprattutto se la situazione non ha influenze negative sulla vita del bambino e di chi lo circonda.
Ma come fare quando un genitore non riesce più a gestire la situazione?
Il primo passo è parlarne con il proprio pediatra e con gli insegnanti del bambino.
Loro sapranno fornire una prima opinione rispetto a quanto sta accadendo e potrebbero indirizzare la famiglia presso un esperto, psicologo, psicoterapeuta o neuropsichiatra infantile, che, potrebbe (non in tutti i casi ovviamente) confermare che il bambino è effettivamente iperattivo, che ha un problema che prende il nome di ADHD (Sindrome da Deficit di Attenzione/Iperattività).
Cosa può fare un genitore a cui è stato comunicata questa diagnosi per il proprio figlio?

1) Innanzitutto non scoraggiarsi. L'ADHD si può imparare a gestire, per tenere la situazione sotto controllo.

2) Prevedere un sistema coerente di rinforzi, attraverso l'utilizzo di una tabella sulla quale, ogni volta che il bambino rispetta una regola stabilita in precedenza, viene attaccato uno sticker. Dopo un certo numero di stickers al bambino viene dato un premio.

3) Lasciar sfogare il bambino fisicamente in una situazione in cui non può nuocere nè a se stesso nè agli altri.

4) Mentre il bambino fa i compiti o esegue un lavoro impegnativo, è importante liberare il più possibile sia la stanza sia il tavolo di lavoro per evitare possibili interferenze e fonti di distrazione.

5) Se il bambino fatica ad eseguire un compito di una certa lunghezza è opportuno dividerlo in parti più piccole, prevedendo delle pause allorquando ci si accorge che il bambino si sta distraendo considerevolmente.

Con questi suggerimenti di carattere generale, la famiglia del bambino con ADHD e il bambino stesso potranno essere aiutati a migliorare la situazione e a tenere sotto controllo alcuni dei problemi tipici di questa problematica.

immagine tratta da http://lakeorioncc.com/

mercoledì 2 settembre 2015

Le discussioni che fanno bene

Si potrebbe essere portati normalmente a pensare che litigare e discutere non fa bene ai rapporti umani. 
In effetti, se immaginiamo una relazione tra due o più persone costantemente caratterizzata da discussioni e polemiche, non possiamo che pensare che essa non sia positiva, non conduca al benessere di nessuna tra le parti coinvolte.
Ma c'è un tipo di conflitto, di discussione, che invece può essere persino positivo.
Si tratta di una particolare forma di comunicazione che può portare ad una maggiore conoscenza reciproca fra le parti coinvolte e che può anche far emergere nuovi modi, magari particolarmente efficaci, di gestire e risolvere problemi.
Ma come è possibile discutere in modo costruttivo?
Vediamo qui di seguito alcune "buone prassi":






1) Non lasciar passare troppo tempo: se è accaduto un fatto spiacevole oggi, di cui vogliamo discutere con qualcuno (partner, figli, colleghi di lavoro), è meglio non aspettare il mese prossimo per tornare sull'argomento, altrimenti potremmo trovarci nella spiacevole situazione in cui il nostro interlocutore non ricorda nemmeno di cosa si sta parlando!

2) Chiarire dirttamente con l'interessato e non con un intermediario: se ho un problema con un amico, è inutile e forse dannoso chiedere ad un altro amico di intervenire nella situazione. Non sappiamo infatti come le nostre parole potrebbero venire interpretate, e magari riportate, da una terza persona. Inoltre potrmmo passare al nostro ipotetico interlocutore la sgradevole sensazione che siamo così deboli da non riuscire ad affrontare in prima persona una discussione.

3) Trattare in privato e non in pubblico: è molto meglio chiarire questioni spinose privatamente e non alla presenza di altre persone. In un confronto a tu per tu, di solito, l'interlocutore si sente più a proprio agio e potrebbe essere più disponibile a collaborare con noi.

4) Affrontare un argomento alla volta: se dobbiamo sviscerare più aspetti di una questione, è meglio aspettare che, nel confronto, vengano mano a mano chiariti, prima di introdurne di nuovi. Esplicitare e risolvere i problemi un pò alla volta evita di sovraccaricare di tensione la comunicazione, e mette l'interlocutore maggiormente a proprio agio. Inoltre, notare come man mano le questioni si possono risolvere, rende più soddisfatti, di solito, entrambi gli attori del processo comunicativo.

5) Essere disponibili a trovare delle soluzioni accettabili anche per il nostro interlocutore: mediare, conciliare, trovare degli accordi dovrebbero essere delle intenzioni da portare ogni qualvolta ci si appresta a discutere di argomenti delicati ed importanti. Questo perchè spesso non è importante vincere, ma trovare delle soluzioni che permettano di migliorare lo status quo bensì di salvaguardare i rapporti in corso tra gli interlocutori.


Fonte immagine: internet

mercoledì 5 agosto 2015

Dialogo di un pomeriggio di mezza estate


Per una volta utilizzo il blog...per un contenuto personale!

B: mamma, tu quando hai conosciuto il papá?
M: eh, tanti anni fa, circa 15!
B: e lo hai scelto?
M: eh, si. Poi è diventato mio marito.
B: e poi il mio papá.
B: sei stata brava a scegliere un uomo che non è cattivo.
M: hai ragione!
B: e poi è anche un papá bello!
M: questa dovremo dirla al papá perchè sará proprio contento!





lunedì 20 luglio 2015

Il mestiere del terapeuta

Riporto le parole di un terapeuta molto stimato che ha lavorato a lungo nella scuola di specializzazione che ho frequentato anni fa e che purtroppo ci ha lasciato troppo presto, perchè riassumono alla perfezione cosa significa per me svolgere la mia professione. 
Rileggendole mi accorgo che sono proprio le parole che userei io...
Grazie al Prof. Baldini per averle scritte!




"Mi ritengo una persona fortunata perchè faccio un lavoro appassionante e unico. 
La professione di psicoterapeuta offre a chi la svolge una possibilità rara e privilegiata, quella di entrare nella vita e nell'intimità delle persone. Ci permette di vivere le emozioni dei nostri pazienti, di capire i motivi reconditi della loro sofferenza, di imparare molto. Ho appreso tanto dai miei pazienti, hanno arricchito enormemente la mia esistenza, mi hanno fatto conoscere vite differenti."
(Tratto dalla prefazione di "Homework: un 'antologia di prescrizioni terapeutiche", 2004)

venerdì 12 giugno 2015

Un caso di disturbo ossessivo compulsivo

Lorenzo (ogni riferimento che possa rendere la persona riconoscibile è stato eliminato) è un uomo di 55 anni. Da molto tempo convive con un problema che si chiama Disturbo Ossessivo Compulsivo.
In pratica Lorenzo da anni spesso ha il dubbio, dopo aver frequentato luoghi pubblici, che, avendo toccato con le mani maniglie, sedie, o altri oggetti, possa essersi contagiato e aver contratto qualche grave malattia. 
Per placare il dubbio e l'ansia che ne deriva, non appena possibile si dedica ad un lavaggio accurato delle mani che non dura per una o due volte, ma che si deve ripetere molte, moltissime volte, fino a quando egli non è sfinito e non sente che l'ansia si riduce. 
Questi dubbi su una possibile contaminazione e il conseguente lavaggio delle mani durano da molti anni e hanno condotto a un impoverimento nella qualità di vita poichè Lorenzo, nel tentativo di bloccare i dubbi e i lavaggi (che si chiamano, rispettivamente, ossessioni e compulsioni), ha deciso di non frequentare più luoghi pubblici. In pratica non va più al supermercato, al bar, al ristorante.
Non prende più mezzi pubblici e non accompagna il nipotino a scuola. 
Inoltre da qualche tempo i dubbi di contaminazione lo assalgono anche dopo aver toccato le maniglie della propria abitazione poichè pensa che se qualcuno precedentemente si fosse recato in un luogo pubblico e avesse successivamente toccato la maniglia di casa, avrebbe potuto essere l' "untore", il veicolo di un possibile contagio.
Insomma, la situazione sembra davvero preoccupante.


In realtà il Disturbo Ossessivo Compulsivo è un disturbo d'ansia, e come tale, si può risolvere. 
La persona cioè può imparare a ragionare correttamente, mettendo in discussione realisticamente i propri dubbi e resistere alla 'tentazione' di mettere in atto le compulsioni.
Infatti l'ansia, che accompagna sia le ossessioni che le compulsioni e a cui la persona cerca di mettere un freno, è un'emozione che ha un picco, in cui raggiunge la massima intensità, a cui poi segue una diminuzione in maniera non lineare ma complessivamente consistente e di questo, sotto la guida di un esperto, si può fare esperienza notando che è possibile NON mettere in atto le compulsioni.
Quello che si osserva generalmente è che chi soffre di questo disturbo accusa i sintomi da diversi anni, spesi a chiedersi 'sono matto?" 'perchè non riesco a smettere?", per questo motivo può essere difficile per la persona in autonomia trovare una soluzione al problema.
Spesso i familiari diventano involontariamente "complici" del disturbo, permettendo alla persona di lavarsi le mani (o di mettere in atto altri rituali) per ore e ore, per paura che "possa succedere qualcosa di brutto" se non la si lasciasse fare.
In realtà la cosa migliore da fare è rivolgersi quanto prima ad un terapeuta esperto di disturbi d'ansia. Quanto prima ciò si verificherà, tanto più il problema avrà una rapida risoluzione.

martedì 9 giugno 2015

I 10 diritti assertivi

In altri post ho descritto l'assertivitá come la capacitá di far valere i propri diritti, le proprie posizioni nel rispetto di se stessi e degli altri.
Parlando di assertività non si possono non riportare i 10 diritti assertivi, cioė delle affermazioni che è bene tenere presente e adottare come linee guida del proprio agire.

Vediamo quali sono.

1. Ho diritto di essere trattato sempre con rispetto e dignità. Questo diritto deve essere fatto rispettare quando il nostro interlocutore offende, prevarica, o "si mette su un piedistallo" rivolgendosi a noi con un atteggiamento di superiorità.

2. Ho diritto ad esprimere un'opinione personale non necessariamente coincidente con quella altrui. Questo diritto deve essere tenuto presente da parte di quelle persone che pensano di essere giudicate negativamente se esprimono un parere distante da quello della maggioranza. In realtà all'interno di una discussione ogni posizione può essere valida o quantomeno presa in considerazione, purché espressa nei dovuti modi.

3. Ho diritto ad essere ascoltato e preso sul serio quando sto esprimendo un'opinione. Se il nostro interlocutore è distratto o palesemente si rifiuta di ascoltarci possiamo farglielo notare o anche decidere di interrompere la comunicazione per rimandarla ad un altro momento quando chi ci ascolta si dimostra maggiormente in grado di prestarci attenzione.

4. Ho diritto a chiedere ciò che mi sembra opportuno, tenendo conto che il mio interlocutore può rispondere anche NO. Non possiamo pretendere che gli altri vengano sempre incontro alle nostre esigenze. Ma possiamo chiedere ciò di cui abbiamo bisogno. Così l'altro non potrà fare finta di non sapere. Poi starà a lui decidere se venirci incontro oppure no. E a noi accettare un eventuale rifiuto e formulare un'altra richiesta.

5. Ho diritto di rifiutare richieste che mi sembrano inopportune o che non riesco/posso soddisfare. Questo diritto è molto importante per quelle persone che non riescono a mettere dei paletti nei rapporti con gli altri e si caricano di molte richieste altrui fino a compromettere la propria qualità di vita.

6. Ho diritto di provare degli stati d'animo e manifestarli in modo assertivo. Non esiste nessuna emozione che non abbia senso di essere provata. Se provo un'emozione o ho un pensiero posso manifestarlo al mio interlocutore purché non dimentichi il rispetto mio e dell'altro.

7. Ho il diritto di cambiare opinione. Non sono incoerente o "bandiera al vento" se, intervenuti nuovi elementi in una questione, cambio idea rispetto ad essa. Anzi, cambiare opinione è segno di elasticità mentale, maturità ed intelligenza.

8. Ho il diritto di non soddisfare sempre le aspettative altrui. Si può sbagliare talvolta, riflettere sul proprio comportamento e chiedere scusa, nel caso, anche involontariamente, abbiamo ferito un'altra persona.

9. Ho il diritto ad avere bisogni e desideri, importanti quanto quelli degli altri. Le persone che soffocano i propri bisogni e che non provano nemmeno ad esprimere ciò che desiderano in genere sono le più frustrate e arrabbiate. Vale la pena sempre esprimerli, tenendo conto della situazione, e del fatto che, talvolta, dovremo rimandare la loro soddisfazione.

E voi? Quale diritto faticate a far rispettare?