domenica 29 dicembre 2013

Come comunicare al meglio nella coppia?

Questo post riguarda, prendendo spunto dalla storia della coppia di cui ho scritto in precedenza, delle buone prassi per comunicare nella coppia, soprattutto nelle situazioni "difficili".
Tra l'altro, le feste natalizie sono putroppo l'occasione in cui i conflitti nella coppia, complice una diversa routine quotidiana, la presenza di amici e parenti, i bambini che da una parte beneficiano della maggiore libertà ma dall'altra possono fare più capricci e innervosire i genitori, invece di diminuire, aumentano. Ecco quindi alcuni suggerimenti su come gestire la comunicazione ed evitare che i normali conflitti di coppia diventino distruttivi invece che costruttivi.




1 regola: inviare messaggi chiari. Ciò significa che nel comunicare con il partner bisogna essere precisi. Invece che dire "non mi piace come sei fatto" è opportuno dire "non mi piace quando fai così"....e spiegare concretamente cosa non ci va.

2 regola: le parole e i gesti/le espressioni del viso devono essere concordanti. Non si può urlare NON SONO ARRABBIATA CON TE! e sperare che il partner ci creda.

3 regola: se abbiamo una critica da fare al partner è meglio farla in privato. Non è opportuno aspettare il cenone di fine anno per rivelare davanti a parenti e amici cosa non ci va di lui/lei. Finiremmo per offenderlo/a e umiliarlo/a oltremodo e per tutta risposta non troveremmo in lui/lei più alcuna disponibilità successivamente per cambiare le cose.

4 regola: non fare una critica in risposta ad una critica o durante una discussione animata. In questo caso le nostre osservazioni servirebbero soltanto a cercare di "vincere una battaglia" e non a far si che l'altro cambi realmente il suo comportamento.

5 regola: considerare lo stato d'animo del partner. Se una persona è stanca, indaffarata, demoralizzata arrabbiata, nervosa o preoccupata, quello non è in genere il momento in cui ascolterà una nostra critica, anche se costruttiva.

7 regola: fare una critica per volta. Analizzare uno ad uno i problemi vi permetterà di risolverli meglio e di non far sentire l'altro "messo all'angolo", producendo di conseguenza  in lui/lei maggiore disponibilità all'ascolto e alla comprensione.

8 regola: criticare il comportamento e non la persona. Invece che dire "sei il solito distratto" dire "ti sei dimenticato di andare a prendere il pane. Puoi farlo ora?" Una critica del primo tipo si rivolge alla persona nel suo complesso e non serve a favorire un cambiamento, bensì ad indebolire l'autostima di chi la riceve.

giovedì 19 dicembre 2013

Sei differenze nel modo di comunicare tra uomini e donne

Il post precedente ci riporta ad una realtà: sia nella pratica clinica, sia nell'esperienza quotidiana, uomini e donne sembrano comunicare in modo differente. Uno dei maggiori esponenti della psicologia, Beck, ha riassunto così le differenze nel modo di conversare, in linea generale, fra maschi e femmine:
- le donne considerano le domande come un mezzo per mantenere viva la conversazione, mentre per gli uomini sono mere richieste di informazioni
- le donne tendono a stabilire dei collegamenti tra ciò che ha appensa detto l'interlocutore e ciò che esse hanno da dire
-le donne interpretano l'aggressività del partner come un attacco che distrugge il rapporto, mentre per gli uomini non è necessariamente così, e l'aggressività per loro può, entro certi limiti ovviamente, essere semplicemente una forma di conversazione
-le donne sono più inclini a condividere sentimenti e segreti, gli uomini a discutere di argomenti meno intimi, come lo sport e la politica
-le donne tendono a discutere insieme i problemi, a condividere le esperienze, a rassicurare. Gli uomini tendono invece a cogliere nella parole dell'interlocutore che condivide con loro un problema, un'esplicita richiesta di soluzioni, anzichè la richiesta di un ascolto partecipe.
Goleman, un altro importante psicologo, ha sostenuto che per le donne l'elemento più importante per sentirsi soddisfatte è una buona comunicazione con il partner e, in particolare, amano parlare della relazione in se stessa. A volte invece gli uomini non capiscono cosa stiano cercando di dire le loro mogli e apprezzano maggiormente la praticità rispetto a lunghi discorsi.
Questo in parte spiega le differenze nel modo di comunicare tra Mario e Antonella. Nel prossimo post qualche utile suggerimento per migliorare la comunicazione di coppia.

mercoledì 18 dicembre 2013

Gli uomini vengono da Marte e le donne da Venere?

Recentemente ho incontrato una coppia (come sempre in ciò che scrivo non la renderò riconoscibile) formata da Mario e Antonella.  Quest'ultima ha numerose recriminazioni da fare al marito: lui non l'aiuta nella faccende domestiche, non le dedica abbastanza tempo, le toglie autorevolezza quando è il momento di prendere posizione con i figli, non la ascolta quando lei ha qualche problema. Tutto questo va avanti da parecchio tempo, tanto che Antonella non ce la fa più. Lei le ha provate tutte: chiudersi in un mutismo "da protesta", provare a spiegare a parole a Mario quello che prova, rimproverarlo; a volte è persino scoppiata a piangere, quando era esausta. Ma nulla sembra funzionare. Quando ha provato a parlargli le è sembrato che lui minimizzasse i suoi problemi e che le fornisse delle "facili soluzioni" a ciò che lei lamentava e la sensazione che rimaneva in lei era che lui non le dedicasse l'ascolto e l'empatia necessarie. Mario, in apparenza, sembra quindi disinteressato ai problemi di Antonella. Ma sarà vero? 


giovedì 28 novembre 2013

Quando un nonno muore: che fare?



La morte di un nonno o di una nonna é spesso la prima occasione di confronto per un bambino con il tema della morte. Questo accade perchè nella nostra societá  si tende a voler proteggere i bambini da ogni esperienza che si pensa causi dolore o disagio e quindi anche dal tema della morte. Ad un certo punto però il confronto con questa grande tematica diventa inevitabile.
In realtá, per avvicinare i bambini al tema della morte, sarebbe opportuno, quando le cose vanno bene, cioè quando non c'è nessuna situazione urgente o impellente da affrontare, permettere loro, se lo desiderano, di fare domande quando magari a morire è una persona estranea alla cerchie dei familiari. Può capitare che il bambino abbia sentito gli adulti parlare tra loro della morte di un conoscente o di un amico e che possa, mosso dalla curiositá, desiderare di porre alcune domande, a cui i genitori dovrebbero rispondere con parole semplici, cercando  il più possibile di mostrarsi tranquilli. In questi casi il bambino potrebbe avere paura che anche la mamma, o il papá possano morire, e in questo caso è opportuno spiegare che, in genere, a morire sono le persone di una certa etá che sono anche malate, anche se non si può escludere in linea di massima che ciò capiti anche in altre situazioni. Per parlare con tranquillitá della morte ai bambini esistono in commercio numerose favole e film da vedere e commentare insieme, che possono aiutare il genitore ad affrontare il tema avendo a disposizione una "guida".
Nei bambini, di fronte ad un lutto, possono apparire comportamenti come tristezza, rabbia, apatia, difficoltá a realizzare quanto accaduto e a considerare le morte un processo definitivo, senso di colpa quando il bambino ritiene, ovviamente erroneamente, di aver fatto qualcosa (un dispetto, una brutta litigata, un pensiero) che "per magia" può aver causato la morte della persona cara.
Ogni emozione dovrebbe essere lasciata esprimere, senza critiche o rimproveri, perchè ciò fa parte del processo di elaborazione del lutto e, soprattutto nel caso dei bambini, è da considerare più problematico il persistere di un certo comportamento piuttosto che la sua intensitá o la sua "stranezza".
Nel caso di Angelo, in cui il nonno è morto dopo una lunga malattia, vedere la mamma e il papá che se ne prendevano cura, è stato importante per "prepararlo" a ciò che sarebbe inevitabilmente accaduto. In questa situazione,  anche vedere i genitori piangere, può essere importante per creare un momento di condivisione emotiva speciale e particolare. Certo, se un adulto sente di non avere per nulla il controllo sul proprio dolore, prima di confrontarsi con un bambino dovrebbe quantomeno aver ritrovato una certa serenitá e, nel caso in cui si accorgesse di non farcela da solo, potrebbe valutare l'opportunitá di rivolgersi ad uno specialista.
A livello pratico, non appena possibile, sarebbe opportuno che il bambino avesse l'opportunitá di fare delle cose belle: una gita, una giornata speciale in cui magari ricordare che anche al nonno sarebbe piaciuto viverla.
Un'altra cosa che si può fare insieme è vedere delle fotografie appartenute alla persona defunta, e commentarle. Si può decidere di tenere nella propria cosa alcuni oggetti appartenuti al nonno o regalarne altri ad associazioni umanitarie o di volontariato in modo che possano "rivivere" nella casa di altre persone ed essere per loro utili.
Quando il bambino si sente pronto è opportuno andare a fare visita al cimitero, portando dei fiori o un disegno per la persona che non c'è più. Se i genitori di Angelo metteranno in pratica questi suggerimenti probabilmente lo aiuteranno ad affrontare questo momento nel modo più sereno possibile.

martedì 26 novembre 2013

Quando un nonno muore: la storia di Angelo, un bambino che voleva sapere

Angelo (ogni elemento che possa rendere la persona riconoscibile é stato eliminato) è un bambino di sei anni, molto intelligente e sensibile. Di recente il nonno di Angelo è mancato, dopo una lunga malattia. Loro due avevano un rapporto "speciale". Il nonno lo portava con sé a fare dei lavoretti nell'orto, facevano lunghe passeggiate in montagna; lo mandava e fare piccole commissioni e poi gli regalava qualche moneta, un euro, cinquanta centesimi, e Angelo ci comprava una volta le figurine, una volta il gelato, e un pò li risparmiava per andare col papá a vedere una partita della Juve, la sua squadra del cuore.
Inoltre passavano molto tempo insieme perchè entrambi i genitori del bimbo lavorano e la nonna se n'è giá andata da molto tempo.
Così quando il nonno muore i genitori di Angelo chiedono come sia piú giusto comportarsi verso il bambino, dato che Angelo chiede cosa é successo e vuole sapere tutto su cosa sia capitato al nonno.
Da un pò di tempo Angelo sembra distratto, svogliato e non vuole dormire da solo nella sua stanza. Sembra abbia paura di qualcosa che non riesce a dire. Cosa sta succedendo ad Angelo? Come aiutarlo al meglio in un momento così particolare?

martedì 22 ottobre 2013

Burnout, che fare?

Diciamo subito che affrontare una situazione di burnout non è semplice, e che è opportuno mettere in pratica differenti strategie.
Una prima mossa che è importante tentare è cercare di fare la stessa cosa in un modo differente. Chi svolge un lavoro impegnativo che da anni si ripete però secondo le stesse modalità può introdurre, se possibile, dei cambiamenti, anche piccoli, nella propria routine lavorativa. Questo serve a far riprendere un senso di padronanza rispetto a ciò che si fa e può contribuire a migliorare lo stato d'animo.
Un secondo step potrebbe essere quello di fare, sempre se possibile, delle pause mentre si lavora. Esse dovrebbero essere inoltre gestite "bene". Quante volte alle macchinette del caffè si sentono colleghi che parlano..ancora di lavoro??
Un terzo aspetto, non meno importante degli altri, è coltivare una vita soddisfacente al di fuori del lavoro. Più il lavoro è impegnativo, e sicuramente quello di Stefania lo è, più è importante quello che si fa oltre. Se non coltivo amicizie, lascio che i miei rapporti affettivi vadano alla deriva quali "stampelle" avrò dopo un'estenuante giornata di lavoro?



Un' altra carta importantissima, utile per prevenire e anche per gestire il burnout è instaurare e mantenere nel tempo dei buoni rapporti con i colleghi. Se tra colleghi c'è cordialità posso permettermi di chiedere loro aiuto e sostegno nei momenti di difficoltà. Diversamente, anche questo aspetto diventerà un'altra possibile fonte di burnout.
Inoltre succede che, talvolta, chi lavora a contatto con la sofferenza, con i problemi della gente, non riceva complimenti, feedback positivi quando fa qualcosa di giusto (molti pensano che in fondo un infermiere che lavora bene ha semplicemente fatto il suo lavoro), ma non appena commette un errore, ha il dito puntato contro e riceve critiche e commenti negativi. Quindi è importante che chi fa questo tipo di lavoro richieda ai propri assistiti un feedback rispetto al proprio operato, in modo da aumentare il più possibile le occasioni di ricevere complimenti e apprezzamenti e quindi di sentirsi più gratificati professionalmente.
Queste sono alcune delle strategie che, se Stefania metteà in atto, potranno portarla a ridurre sensibilmente il livello di burnout sperimentato.

venerdì 21 giugno 2013

Burnout: cos'è?




Sembra proprio che Stefania stia vivendo una condizione di burnout.
Ma vediamo in cosa consiste e cos'è il burnout. Si tratta di una sindrome caratterizzata in primis da esaurimento emotivo: chi ne viene colpito si sente stanco, sfinito e svuotato delle proprie energie emotive. Le uniche emozioni sperimentate sono di tipo negativo, ad esempio ansia, rabbia, tristezza ecc.
Il secondo aspetto che caratterizza il burnout è la depersonalizzazione: chi lo sperimenta, per tentare di difendersi dallo stress causato dal rapporto con l’altro, tende a trattare il destinatario del suo lavoro come se fosse una cosa e non una persona. A volte può arrivare a detestare i propri “assistiti” e a trattarli male.
Il terzo ed ultimo aspetto è la ridotta soddisfazione personale e professionale: si prova senso di colpa per il modo in cui ci si comporta con i propri pazienti, ci si sente diventati delle persone spregevoli e ci si condanna per questo.
Ma quali sono le cause del burnout? 



 Erroneamente si pensa che la “colpa” sia dell’assistito oppure dell'infermiere (ma il burnout potrebbe colpire anche medici, psicologi, ausiliari, e, in generale tutti coloro che lavorano a contatto con persone in situazione di bisogno e/o sofferenza) sottovalutando l’importanza degli elementi situazionali come ad esempio la focalizzazione sui problemi: gli operatori in contatto con persone in difficoltà spesso si concentrano sui lati negativi, sulle mancanze degli altri e non sui loro punti di forza. In questo modo finiscono per vivere una giornata lavorativa "piena di problemi" con conseguente preoccupazione e stress emotivo.
Un altro fattore situazionale che può pesare ed avere un ruolo nell'insorgenza del burnout è la mancanza di feedback (risposta) positivo che talvolta si verifica da parte dei pazienti di un ospedale e dei loro familiari: essi possono infatti trascurare di ringraziare o lodare l’operatore quando svolge bene il suo lavoro ma non mancheranno di fargli notare suoi eventuali errori.
Inoltre se le persone da curare dimostrano di non cambiare nel tempo si è portati a vederle in termini negativi e ad esempio a pensare che forse sono loro che non vogliono guarire o che non è giusto che proprio a noi sia toccato quel reparto, quella stanza o quel particolare paziente.
Un altro fattore che può essere rilevante nell'insorgenza del burnout è dover fare troppo e troppo presto: dover a tutti i costi “lavorare molto” in questo settore lavorativo causa stress e visione negativa dell'altro.
Inoltre pesano nella possibile genesi della sindrome anche i rapporti con colleghi e superiori, che, se buoni, possono essere un fattore di protezione per gli operatori dell'assistenza, ma in caso contrario possono determinare un peggioramento della capacità di gestire lo stress e quindi favorire il manifestarsi del burnout.

domenica 28 aprile 2013

Stefania: un caso di Burnout

Stefania (ogni riferimento che può rendere la persona riconoscibile è stato eliminato) è una donna di 45 anni, che lavora come infermiera presso un grande ospedale. E' sposata e ha due figli che frequentano le scuole elementari.
Da un pò di tempo dice di non amare più il proprio lavoro. Soprattutto dice di non riuscire più a sopportare i pazienti e le loro richieste di aiuto. Per non parlare poi dei familiari: "si lamentano sempre, hanno sempre da dire e non sono mai contenti. Quando noi infermieri lavoriamo bene, neanche un grazie, ma quando succede qualcosa, anche piccole cose, apriti cielo!".
Ogni paziente nuovo le sembra quasi un nemico da combattere, un ostacolo che si frappone tra l'inizio e la fine della giornata. La rabbia verso i degenti sembra crescere giorno dopo giorno e l'unico modo per difendersi per Stefania è quello di trattarli con freddezza e distacco, come se fossero delle cose e non delle persone.
La stanchezza avverita nell'andare al lavoro è quacosa di enorme, di insuperabile. Quando la sveglia suona e lei si costringe ad alzarsi da letto pensa: "oddio, mi aspetta un altro turno da incubo".
In famiglia le tensioni cominciano ad avvertirsi: Stefania è facilmente irritabile, con il marito e con i figli basta un nonnulla per farla esplodere.
E lei si chiede: "perchè mi comporto così? Che razza di persona sono? Tratto male tutti: i miei pazienti, i miei familiari...cosa mi sta succedendo?"
Il senso di frustrazione e la scontentezza sono notevoli e ai colleghi e a chi la conosce bene non sembra più la stessa persona che, fino a pochi anni prima, doceva di amare il proprio lavoro e, anzi, era tra le infermiere più brave e più attente.
Ma cosa sta succedendo a Stefania? Come fare per migliorare la situazione?

lunedì 25 marzo 2013

L'indecisione di Matteo: che fare

Talvolta, dietro a situazioni di indecisione come quella di Matteo c'è l'ansia, che si accompagna alla preoccupazione di poter prendere la decisione sbagliata e al desiderio di compiere una scelta perfetta. Questo atteggiamento si chiama perfezionismo e porta, come nel caso di Matteo, ad essere completamente bloccati nelle scelte e ad avere la mente pervasa da pensieri del tipo: "E se faccio la scelta sbagliata?" "E se quel lavoro si rivelerà una delusione?" "E se il trasferimento sarà troppo difficile da affrontare?". E così via.
In questi casi spesso si è portati a rimanere al palo fino a quando non si hanno tutte le informazioni necessarie per decidere. Il problema è che, in alcuni casi, non si possono avere tutte le informazioni di cui ci sarebbe bisogno. Come si fa a sapere in prima battuta se una persona sarà quella giusta per noi? Come si fa a sapere con certezza dall'inizio se un contratto a tempo determinato verrà rinnovato?
In alcuni casi avere tutte le informazioni non è quindi possibile, ed un margine di incertezza va tollerato.
Chi, come Matteo, è un "eterno indeciso" tende a pensare a tutte le conseguenze possibili derivanti da una certa decisione, includendo anche quelle catastrofiche, dimenticando che, se è pur vero che tutto è possibile, solo poche cose sono quelle davvero probabili.
Inoltre è portato a ritenere che esistano davvero scelte perfette, che non hanno elementi sfavorevoli, e che mettano al riparpo da ogni possibile rischio.
Cosa potrebbe aiutare davvero Matteo in questa situazione?:
-innanzitutto non servono i pareri dati da chiunque poichè generano soltanto confusione ed ulteriore ansia ed indecisione.
- in secondo luogo Matteo dovrebbe imparare un buon metodo di problem solving. Esso prevede in un primo momento di focalizzarsi sui problemi che si vogliono risolvere.
Poi, in un secondo momento si passa dai problemi all'identificazione degli obiettivi.
Il terzo passo prevede la generazione di idee per raggiungere l'obiettivo desiderato.
Successivamente si analizza ogni alternativa in termini di vantaggi e svantaggi.
Infine si segue l'opzione più vantaggiosa. (Questo processo, almeno nelle fasi iniziali, andrebbe eseguito sotto la guida di un esperto).
- una volta deciso per un'opzione è necessario metterla in atto, senza far passare troppo tempo, sforzandosi di non ritornare sui propri passi.
Se Matteo si comporterà in questo modo probabilmente riuscirà a migliorare rispetto al problema dell'indecisione.

lunedì 11 febbraio 2013

L'indecisione di Matteo

Matteo è un ragazzo di venticinque anni (ogni riferimento che può rendere la persona riconoscibile è stato eliminato), che vive con i genitori ed è in procinto di laurearsi.
Da un pò di tempo fatica a prendere decisioni. Ogni cosa è diventata per lui un dilemma: andare ad una festa o al cinema? Scegliere questo o quel vestito? Scegliere un master di specializzazione dopo la laurea o tentare di entrare subito nel mondo del lavoro? Restare a vivere nel suo paese o trasferirsi in città, dove avrebbe maggiori opportunità di lavoro?
Ogni volta che deve prendere una decisione ci pensa giorni e giorni, sentendo crescere in sè l'ansia. Egli infatti pensa: "E se la decisione che prenderò sarà quella sbagliata?" "E se andrò incontro ad un fallimento a causa di una mia valutazione errata?"
Per cercare di evitare di sbagliare spesso chiede consigli e rassicurazioni a chiunque, dall'amico fidato al vicino di casa, dalla commessa del negozio di alimentari ai compagni di studi.
Ovviamente, ciascuna di queste persone, in merito alle questioni poste da Matteo, ha la propria opinione. Tutte queste differenti opinioni portano Matteo a sentirsi sempre più confuso ed indeciso.
Quando può evita di decidere. Cerca di rimandare la presa di decisione fino all'ultimo momento, quando, magari, messo alle strette dagli amici o dalle scadenze, sceglie velocemente e all'ultimo momento.
E, immancabilmente, si pente di quanto fatto. Allora viene preso da una forte rabbia verso se stesso e pensa: "sono l'unico cretino che si tortura con questi dubbi su ogni cosa!" "Basta, non ce la faccio più!". Anche i genitori sono preoccupati per lui perchè lo vedono sofferente e temono che se non riuscirà ad essere più sicuro nelle scelte possa diventare una persona sempre più infelice.
Cosa rende insicuro Matteo?
Come fare per renderlo più sicuro nelle scelte?