lunedì 28 dicembre 2015

Depressione? "Ruminare" non serve!

 
 
 
Nel post di oggi vorrei parlare del modo in cui le persone reagiscono ad uno stato di depressione.
Infatti, la modalità con cui si affronta tale situazione è spesso responsabile della durata della depressione stessa: ci sono persone che rimangono depresse per alcuni giorni, altre per mesi, altre per anni.
Cosa fa la differenza?
Numerosi studi scientifici nel campo della psicologia hanno dimostrato che esistono fondamentalmente due modi di reagire all'umore depresso.
Il primo modo è definito "ruminazione". Esso consiste nel pensare costantemente ai propri sintomi, alle loro implicazioni, a ciò che li ha causati.
Il secondo modo consiste nel cercare delle attività distraenti, che interrompano la ruminazione.
Qual è secondo voi il metodo MENO efficace nel migliorare la sintomatologia depressiva?
Il primo tra i due metodi ha dimostrato di essere inutile, se non dannoso, per affrontare uno stato depressivo.
 
Infatti pensare ossessivamente alle proprie problematiche causa:
 
- una diminuzione dell'attenzione rivolta a possibili attività piacevoli
 
- dimenticanze di impegni sociali e professionali
 
- difficoltà nel prendersi cura adeguatamente della propria persona
 
Tutto ciò causa un fallimento della persona in aree significative e questo provoca un nuovo e maggiore peggioramento del tono dell'umore. Siamo così in presenza di un circolo vizioso che non aiuta sicuramente la persona depressa.
In poche parole, ruminare impedisce di attivare le risorse di problem solving, che invece permetterebbero una migliore risoluzione della situazione.
 
Gli studi dimostrano che le donne tendono ad adottare in misura maggiore rispetto agli uomini la modalità ruminativa, contribuendo ad alimentare gli stati depressivi. Gli uomini sarebbero invece in grado di utilizzare in misura maggiore attività distraenti. Ricordiamo comunque che alcune modalità distraenti sono anche dannose, come ad esempio l'uso di sostanze stupefacenti o alcoliche, il gioco d'azzardo, la guida spericolata.
 
Tutti questi studi dimostrano quindi l'importanza di pianificare delle attività distraenti durante gli episodi depressivi, che impediscano di rimanere concentrati sulle proprie problematiche.
 
 
Bibliografia: "Gli approcci cognitivi alla depressione". A cura di Antonella Rainone e Francesco Mancini. Ed. Franco Angeli. Ristampa 2015.
 
Immagine tratta da www.studiopsicologiarizzi.it

sabato 31 ottobre 2015

Dalla parte dei figli



Proprio oggi su un settimanale ho letto un'intervista al papà di Valentino Rossi.
Premetto che non ho guardato la gara che ha visto in azione i due motociclisti, Valentino e Marquez, nè lo spezzone che mostra la caduta di quest'ultimo. Però commenti e articoli su stampa a social network riportano chiaramente come Valentino abbia reagito malamente a provocazioni ripetute da parte dell'avversario.
Ora, quello che mi ha colpito è ciò che afferma il papà di Valentino. 
La prima riga della sua intervista chiosa "Da padre, ovviamente, sono tutto dalla parte di Valentino". Mi ha colpito il fatto che un genitore, ovviamente, cioè sempre e comunque debba essere dalla parte del figlio, anche quando questi sbaglia. E passa, nell'intervista, a spiegare come la gara fosse mal organizzata, come il figlio avesse fatto di tutto per prevenire l'incidente e come, infine, "per sbaglio" fosse venuto in contatto con l'avversario e questo fosse caduto. 
Tutto ciò fa sembrare come se il genitore non possa dissentire dal punto di vista e dalle azioni del figlio, come se non abbia un suo senso critico. In poche parole è la rinuncia ad esercitare un ruolo, che dal mio punto di vista è distintivo e qualificante in senso positivo di un genitore, soprattutto di un padre: la coscienza morale. 

Valentino Rossi e Marc Marquez - GPOne.com

In molti casi si assiste a genitori che difendono i figli oltre ad ogni ragionevolezza. Figli che commettono reati, che sono prevaricanti sugli altri. Ma la "colpa" è delle circostanze, o, per l'appunto, dell'altro stesso. Forse invece in alcuni casi bisognerebbe riuscire a dire: "Capisco tu sia stato provocato ingiustamente e mi dispiace. Ma non dovevi reagire così ed ora è giusto che paghi le conseguenze del tuo gesto. Io ti starò vicino ma non condivido ciò che hai fatto". Non sarebbe forse questo un comportamento migliore?

sabato 3 ottobre 2015

Aiuto, sono iperattivo!






Capita a volte di imbattersi in genitori, nonni, insegnanti, che sono alle prese con bambini che sono sempre in movimento, che non riescono a rispettare le regole e che tendono facilmente a distrarsi durante l'esecuzione di un compito.
Questo naturalmente, non rappresenta necessariamente un problema, soprattutto se la situazione non ha influenze negative sulla vita del bambino e di chi lo circonda.
Ma come fare quando un genitore non riesce più a gestire la situazione?
Il primo passo è parlarne con il proprio pediatra e con gli insegnanti del bambino.
Loro sapranno fornire una prima opinione rispetto a quanto sta accadendo e potrebbero indirizzare la famiglia presso un esperto, psicologo, psicoterapeuta o neuropsichiatra infantile, che, potrebbe (non in tutti i casi ovviamente) confermare che il bambino è effettivamente iperattivo, che ha un problema che prende il nome di ADHD (Sindrome da Deficit di Attenzione/Iperattività).
Cosa può fare un genitore a cui è stato comunicata questa diagnosi per il proprio figlio?

1) Innanzitutto non scoraggiarsi. L'ADHD si può imparare a gestire, per tenere la situazione sotto controllo.

2) Prevedere un sistema coerente di rinforzi, attraverso l'utilizzo di una tabella sulla quale, ogni volta che il bambino rispetta una regola stabilita in precedenza, viene attaccato uno sticker. Dopo un certo numero di stickers al bambino viene dato un premio.

3) Lasciar sfogare il bambino fisicamente in una situazione in cui non può nuocere nè a se stesso nè agli altri.

4) Mentre il bambino fa i compiti o esegue un lavoro impegnativo, è importante liberare il più possibile sia la stanza sia il tavolo di lavoro per evitare possibili interferenze e fonti di distrazione.

5) Se il bambino fatica ad eseguire un compito di una certa lunghezza è opportuno dividerlo in parti più piccole, prevedendo delle pause allorquando ci si accorge che il bambino si sta distraendo considerevolmente.

Con questi suggerimenti di carattere generale, la famiglia del bambino con ADHD e il bambino stesso potranno essere aiutati a migliorare la situazione e a tenere sotto controllo alcuni dei problemi tipici di questa problematica.

immagine tratta da http://lakeorioncc.com/

mercoledì 2 settembre 2015

Le discussioni che fanno bene

Si potrebbe essere portati normalmente a pensare che litigare e discutere non fa bene ai rapporti umani. 
In effetti, se immaginiamo una relazione tra due o più persone costantemente caratterizzata da discussioni e polemiche, non possiamo che pensare che essa non sia positiva, non conduca al benessere di nessuna tra le parti coinvolte.
Ma c'è un tipo di conflitto, di discussione, che invece può essere persino positivo.
Si tratta di una particolare forma di comunicazione che può portare ad una maggiore conoscenza reciproca fra le parti coinvolte e che può anche far emergere nuovi modi, magari particolarmente efficaci, di gestire e risolvere problemi.
Ma come è possibile discutere in modo costruttivo?
Vediamo qui di seguito alcune "buone prassi":






1) Non lasciar passare troppo tempo: se è accaduto un fatto spiacevole oggi, di cui vogliamo discutere con qualcuno (partner, figli, colleghi di lavoro), è meglio non aspettare il mese prossimo per tornare sull'argomento, altrimenti potremmo trovarci nella spiacevole situazione in cui il nostro interlocutore non ricorda nemmeno di cosa si sta parlando!

2) Chiarire dirttamente con l'interessato e non con un intermediario: se ho un problema con un amico, è inutile e forse dannoso chiedere ad un altro amico di intervenire nella situazione. Non sappiamo infatti come le nostre parole potrebbero venire interpretate, e magari riportate, da una terza persona. Inoltre potrmmo passare al nostro ipotetico interlocutore la sgradevole sensazione che siamo così deboli da non riuscire ad affrontare in prima persona una discussione.

3) Trattare in privato e non in pubblico: è molto meglio chiarire questioni spinose privatamente e non alla presenza di altre persone. In un confronto a tu per tu, di solito, l'interlocutore si sente più a proprio agio e potrebbe essere più disponibile a collaborare con noi.

4) Affrontare un argomento alla volta: se dobbiamo sviscerare più aspetti di una questione, è meglio aspettare che, nel confronto, vengano mano a mano chiariti, prima di introdurne di nuovi. Esplicitare e risolvere i problemi un pò alla volta evita di sovraccaricare di tensione la comunicazione, e mette l'interlocutore maggiormente a proprio agio. Inoltre, notare come man mano le questioni si possono risolvere, rende più soddisfatti, di solito, entrambi gli attori del processo comunicativo.

5) Essere disponibili a trovare delle soluzioni accettabili anche per il nostro interlocutore: mediare, conciliare, trovare degli accordi dovrebbero essere delle intenzioni da portare ogni qualvolta ci si appresta a discutere di argomenti delicati ed importanti. Questo perchè spesso non è importante vincere, ma trovare delle soluzioni che permettano di migliorare lo status quo bensì di salvaguardare i rapporti in corso tra gli interlocutori.


Fonte immagine: internet

mercoledì 5 agosto 2015

Dialogo di un pomeriggio di mezza estate


Per una volta utilizzo il blog...per un contenuto personale!

B: mamma, tu quando hai conosciuto il papá?
M: eh, tanti anni fa, circa 15!
B: e lo hai scelto?
M: eh, si. Poi è diventato mio marito.
B: e poi il mio papá.
B: sei stata brava a scegliere un uomo che non è cattivo.
M: hai ragione!
B: e poi è anche un papá bello!
M: questa dovremo dirla al papá perchè sará proprio contento!





lunedì 20 luglio 2015

Il mestiere del terapeuta

Riporto le parole di un terapeuta molto stimato che ha lavorato a lungo nella scuola di specializzazione che ho frequentato anni fa e che purtroppo ci ha lasciato troppo presto, perchè riassumono alla perfezione cosa significa per me svolgere la mia professione. 
Rileggendole mi accorgo che sono proprio le parole che userei io...
Grazie al Prof. Baldini per averle scritte!




"Mi ritengo una persona fortunata perchè faccio un lavoro appassionante e unico. 
La professione di psicoterapeuta offre a chi la svolge una possibilità rara e privilegiata, quella di entrare nella vita e nell'intimità delle persone. Ci permette di vivere le emozioni dei nostri pazienti, di capire i motivi reconditi della loro sofferenza, di imparare molto. Ho appreso tanto dai miei pazienti, hanno arricchito enormemente la mia esistenza, mi hanno fatto conoscere vite differenti."
(Tratto dalla prefazione di "Homework: un 'antologia di prescrizioni terapeutiche", 2004)

venerdì 12 giugno 2015

Un caso di disturbo ossessivo compulsivo

Lorenzo (ogni riferimento che possa rendere la persona riconoscibile è stato eliminato) è un uomo di 55 anni. Da molto tempo convive con un problema che si chiama Disturbo Ossessivo Compulsivo.
In pratica Lorenzo da anni spesso ha il dubbio, dopo aver frequentato luoghi pubblici, che, avendo toccato con le mani maniglie, sedie, o altri oggetti, possa essersi contagiato e aver contratto qualche grave malattia. 
Per placare il dubbio e l'ansia che ne deriva, non appena possibile si dedica ad un lavaggio accurato delle mani che non dura per una o due volte, ma che si deve ripetere molte, moltissime volte, fino a quando egli non è sfinito e non sente che l'ansia si riduce. 
Questi dubbi su una possibile contaminazione e il conseguente lavaggio delle mani durano da molti anni e hanno condotto a un impoverimento nella qualità di vita poichè Lorenzo, nel tentativo di bloccare i dubbi e i lavaggi (che si chiamano, rispettivamente, ossessioni e compulsioni), ha deciso di non frequentare più luoghi pubblici. In pratica non va più al supermercato, al bar, al ristorante.
Non prende più mezzi pubblici e non accompagna il nipotino a scuola. 
Inoltre da qualche tempo i dubbi di contaminazione lo assalgono anche dopo aver toccato le maniglie della propria abitazione poichè pensa che se qualcuno precedentemente si fosse recato in un luogo pubblico e avesse successivamente toccato la maniglia di casa, avrebbe potuto essere l' "untore", il veicolo di un possibile contagio.
Insomma, la situazione sembra davvero preoccupante.


In realtà il Disturbo Ossessivo Compulsivo è un disturbo d'ansia, e come tale, si può risolvere. 
La persona cioè può imparare a ragionare correttamente, mettendo in discussione realisticamente i propri dubbi e resistere alla 'tentazione' di mettere in atto le compulsioni.
Infatti l'ansia, che accompagna sia le ossessioni che le compulsioni e a cui la persona cerca di mettere un freno, è un'emozione che ha un picco, in cui raggiunge la massima intensità, a cui poi segue una diminuzione in maniera non lineare ma complessivamente consistente e di questo, sotto la guida di un esperto, si può fare esperienza notando che è possibile NON mettere in atto le compulsioni.
Quello che si osserva generalmente è che chi soffre di questo disturbo accusa i sintomi da diversi anni, spesi a chiedersi 'sono matto?" 'perchè non riesco a smettere?", per questo motivo può essere difficile per la persona in autonomia trovare una soluzione al problema.
Spesso i familiari diventano involontariamente "complici" del disturbo, permettendo alla persona di lavarsi le mani (o di mettere in atto altri rituali) per ore e ore, per paura che "possa succedere qualcosa di brutto" se non la si lasciasse fare.
In realtà la cosa migliore da fare è rivolgersi quanto prima ad un terapeuta esperto di disturbi d'ansia. Quanto prima ciò si verificherà, tanto più il problema avrà una rapida risoluzione.

martedì 9 giugno 2015

I 10 diritti assertivi

In altri post ho descritto l'assertivitá come la capacitá di far valere i propri diritti, le proprie posizioni nel rispetto di se stessi e degli altri.
Parlando di assertività non si possono non riportare i 10 diritti assertivi, cioė delle affermazioni che è bene tenere presente e adottare come linee guida del proprio agire.

Vediamo quali sono.

1. Ho diritto di essere trattato sempre con rispetto e dignità. Questo diritto deve essere fatto rispettare quando il nostro interlocutore offende, prevarica, o "si mette su un piedistallo" rivolgendosi a noi con un atteggiamento di superiorità.

2. Ho diritto ad esprimere un'opinione personale non necessariamente coincidente con quella altrui. Questo diritto deve essere tenuto presente da parte di quelle persone che pensano di essere giudicate negativamente se esprimono un parere distante da quello della maggioranza. In realtà all'interno di una discussione ogni posizione può essere valida o quantomeno presa in considerazione, purché espressa nei dovuti modi.

3. Ho diritto ad essere ascoltato e preso sul serio quando sto esprimendo un'opinione. Se il nostro interlocutore è distratto o palesemente si rifiuta di ascoltarci possiamo farglielo notare o anche decidere di interrompere la comunicazione per rimandarla ad un altro momento quando chi ci ascolta si dimostra maggiormente in grado di prestarci attenzione.

4. Ho diritto a chiedere ciò che mi sembra opportuno, tenendo conto che il mio interlocutore può rispondere anche NO. Non possiamo pretendere che gli altri vengano sempre incontro alle nostre esigenze. Ma possiamo chiedere ciò di cui abbiamo bisogno. Così l'altro non potrà fare finta di non sapere. Poi starà a lui decidere se venirci incontro oppure no. E a noi accettare un eventuale rifiuto e formulare un'altra richiesta.

5. Ho diritto di rifiutare richieste che mi sembrano inopportune o che non riesco/posso soddisfare. Questo diritto è molto importante per quelle persone che non riescono a mettere dei paletti nei rapporti con gli altri e si caricano di molte richieste altrui fino a compromettere la propria qualità di vita.

6. Ho diritto di provare degli stati d'animo e manifestarli in modo assertivo. Non esiste nessuna emozione che non abbia senso di essere provata. Se provo un'emozione o ho un pensiero posso manifestarlo al mio interlocutore purché non dimentichi il rispetto mio e dell'altro.

7. Ho il diritto di cambiare opinione. Non sono incoerente o "bandiera al vento" se, intervenuti nuovi elementi in una questione, cambio idea rispetto ad essa. Anzi, cambiare opinione è segno di elasticità mentale, maturità ed intelligenza.

8. Ho il diritto di non soddisfare sempre le aspettative altrui. Si può sbagliare talvolta, riflettere sul proprio comportamento e chiedere scusa, nel caso, anche involontariamente, abbiamo ferito un'altra persona.

9. Ho il diritto ad avere bisogni e desideri, importanti quanto quelli degli altri. Le persone che soffocano i propri bisogni e che non provano nemmeno ad esprimere ciò che desiderano in genere sono le più frustrate e arrabbiate. Vale la pena sempre esprimerli, tenendo conto della situazione, e del fatto che, talvolta, dovremo rimandare la loro soddisfazione.

E voi? Quale diritto faticate a far rispettare?


















giovedì 28 maggio 2015

La lettura del pensiero altrui

Spesso nel mio lavoro sento dire frasi come: "Non provo nemmeno a chiedergli quel favore. Tanto so che non me lo farebbe. Glielo leggo nel pensiero!"
Oppure: "Sono sicura che lui pensa che sono una stupida e che non gli importa niente di me!". E così via.
Nei rapporti di coppia e nelle relazioni interpersonali in genere quante volte siamo sicuri di sapere ciò che l'altro pensa? Spessissimo, diranno molti fra voi.
Ma siamo veramente sicuri di questo? Si! Diranno altrettanti. Adducendo motivazioni del tipo: sono sicura che a lui non interessa nulla di me e mi considera una stupida perchè questa mattina non mi ha neanche guardato, non mi ha nemmeno detto un "ciao"! 
Ma cosa avviene realmente spesso in situazioni come queste? Se io penso che ad un amico non importi nulla di me e mi consideri una stupida, non appena mi capitasse di vederlo come mi comporterei con lui?
Forse deciderei di non dare troppo nell'occhio e magari anche di evitarlo. Dato che credo mi consideri una stupida non mi andrebbe molto di mettermi in relazione con lui.
Però comportandomi in questo modo cosa provocherei realisticamente in lui? Probabilmente indifferenza e anche un pò di astio. Ciò mi porterebbe allora ad una conferma della mia idea di base e cioè che non gli importa nulla di me e che non ha una buona opinione nei miei confronti.
A questo punto un'altra domanda sorge spontanea.
Quanto della reazione dell'amico ho provocato io con il mio atteggiamento un pò scostante?
Forse l'amico si sarebbe comportato diversamente se mi fossi avvicinata sorridendo e l'avessi salutato con entusiasmo?
Questo per dire che talvolta credendo di sapere cosa pensano gli altri ci comportiamo proprio nel modo che suscita in loro le reazioni che non vorremmo e che non ci piacciono.
Tutto parte da lì: dalla certezza di leggere correttamente nel pensiero altrui.



venerdì 1 maggio 2015

Le 6 cose da fare... in caso di ansia.

L'ansia, ormai ne ho parlato diffusamente sul blog, è quell'emozione che si accompagna a pensieri di tipo allarmistico e catastrofico rispetto alle conseguenze di qualcosa che potrebbe accadere.
L'ansia può riguardare vari aspetti della vita, e talvolta ne compromette fortemente la qualitá.





Può colpire chiunque e a qualsiasi etá. Per questa ragione é importante sapere cosa fare....in caso di ansia.


1) Metti alla prova i tuoi pensieri. Sei proprio sicuro che la cosa che temi si possa verificare? Se ciò che temi accadesse sei certo di non poterlo proprio affrontare? Se la cosa che temi accadesse cosa potresti fare per gestirla? A chi potresti chiedere aiuto?

2) Fai una scala di difficoltá. É importante fare un elenco di situazioni, dalla più semplice alla più difficile, che l'ansia al momento ti impedisce di affrontare. Poi inizia ad affrontare la più semplice tra le situazioni elencate.

3) Evita di evitare. Una volta fatto l'elenco, datti un tempo ed inizia ad affrontare le situazioni critiche. Non rimandare. Servirebbe soltanto a peggiorare le cose.

4) Congratulati con te stesso ogni volta che riesci ad affrontare una situazione difficile. Se per molto tempo hai evitato delle situazioni a causa dell'ansia e finalmente ad un certo punto ci sei riuscito, questo è un buon motivo per essere contento di te. Ricorda che non esiste nessuno immune all'ansia (nemmeno io, che sono una psicoterapeuta esperta dell'argomento!) e che la cosa importante è imparare ad affrontarla!

5) Non parlare troppo con gli altri (amici, familiari ecc.) della tua ansia. Servirebbe solo a dare eccessiva importanza al problema e a fare il pieno di rassicurazioni non sempre richieste e non sempre efficaci.

6) Impara una tecnica di rilassamento e di respirazione. Le più efficaci sono:

- La respirazione lenta. Consiste nel respirare lentamente contando fino a tre in fase di inspirazione (fatta con il naso) e da tre a sei in fase di espirazione (fatta con la bocca). Questo tipo di repirazione va fatta controllando di espandere la pancia e non il torace e le spalle.

- Il rilassamento muscolare di Jacobson. Consiste in una serie di contrazioni e successivo rilassamento di tutti i muscoli del corpo ed è molto utile per chi avverte spiacevoli sintomi di ansia a livello fisico.

- Il training autogeno. È una sorta di autoipnosi attraverso la quale si raggiunge un rilassamto completo. Consiste nell'imparare semplici tecniche e mantenerle esercitate ogni giorno.








giovedì 9 aprile 2015

Ansia sociale e pensieri disfunzionali: la storia di Annalisa

Annalisa (ogni riferimento che possa rendere riconoscibile la persona ė stato cancellato) è una ragazza di 18 anni, con un problema. Molto difficilmente riesce a stringere legami di amicizia con qualcuno, quando è in compagnia degli altri si sente spesso a disagio. Le mani le sudano, il cuore aumenta i suoi battiti. Dire la sua opinione davanti agli altri le costa moltissimo. Teme infatti il giudizio altrui più di ogni cosa. Pensa che se esprimesse la sua opinione o se manifestasse i suoi sentimenti davanti agli altri verrebbe presa per stupida, per una persona poco intelligente e interessante e crede che gli altri si farebbero un'opinione negativa di lei. Per questa ragione esce poco, di partecipare alle feste nemmeno a parlarne! Ma lei ne soffre molto e vorrebbe trovare una soluzione per questa situazione. Decide di parlarne con un'amica di cui si fida e che sembra proprio non avere il suo problema. O per lo meno l'amica riesce a stare con gli altri e anche a divertirsi in loro compagnia. L'amica innanzitutto la rassicura sul fatto che per lei Annalisa è davvero una persona speciale e poi le suggerisce di rivolgersi ad un terapeuta esperto in disturbi d'ansia. Annalisa lo fa ed è così che faccio la sua conoscenza.




Scavando a fondo nei suoi pensieri emerge che Annalisa mette in pratica spessissimo un modo di ragionare di chi come lei soffre di ansia sociale. Questo stile di pensiero porta a sopravvalutare di molto la probabilitá che un evento spiacevole accada. Infatti lei crede che sicuramente, con una probabilitá che si avvicina al 100%, se dovesse provare ad esprimere un suo pensiero su una determinata questione, che magari si differenzia da ciò che la maggioranza pensa, tutti i presenti la giudicherebbero in modo negativo. Ma quali prove sostengono questo pensiero?  E' corretto ritenere con una certezza assoluta che le cose sicuramente andrebbero così? 
Annalisa decide quindi di mettersi in gioco. In situazioni dapprima semplici, in cui si sente a proprio agio, impara ad esprimere ciò che pensa e prova. Notando che non accade nulla di così spiacevole o terribile, via via si espone anche a situazioni più difficili e impegnative. In breve tempo non è più un problema per lei la compagnia degli altri e la sua vita sociale è decisamente migliorata.
Questa storia sta a testimoniare come anche dalle situazioni che sembrano estremamente difficili e dolorose sia possibile trovare una via d'uscita.
Concludo con un aforisma simpatico e vero di uno dei miei personaggi preferiti dei fumetti.
Se non ci piace dove stiamo possiamo spostarci, non siamo alberi! Snoopy.



lunedì 2 marzo 2015

La dipendenza da gioco: un gran brutto "affare"!

Negli ultimi anni, a fianco alle tossicodipendenze 'classiche' si sono delineate nuove forme di dipendenza che possiamo definire 'comportamentali'. Tra queste, un posto di rilievo in termini di pericolosità sociale lo occupa la dipendenza da gioco.


Il gioco, o meglio, il gioco d'azzardo (è da questo tipo di gioco che si può facilmente diventare dipendenti) si caratterizza per la presenza di una posta. Il giocatore cioè versa un bene materiale o una certa somma di denaro che, una volta giocata, non può essere ritirata.
Inoltre, nel gioco d'azzardo, spesso la vittoria o la sconfitta non dipendono dall'abilitá del giocatore.
Si configurano quindi come giochi potenzialmente pericolosi "le macchinette", i "gratta e vinci", il bingo, il poker on line e così via.
La dipendenza da gioco somiglia in tutto e per tutto alla dipendenza da sostanze stupefacenti.
Infatti si caratterizza per alcuni aspetti che riguardano anche la classica tossicodipendenza.
Essi sono la dipendenza psicologica e la tolleranza.
La dipendenza psicologica è rappresentata dalla voglia, dal desiderio di giocare. La persona ha fantasie di successo, immagina una grande vincita. Ciò la spinge ad accostarsi per l'ennesima volta al gioco, nonostante magari abbia giá collezionato delle perdite.
La tolleranza è invece quel fenomeno per cui, per provare le sensazioni di eccitazione, "ebbrezza" sperimentate nei momenti iniziali di avvicinamento al gioco, l'individuo deve giocare sempre di più e sempre più spesso.
Esiste una sorta di 'carriera' del giocatore d'azzardo problematico.
Innazitutto va detto che esistono cause di tipo bio-psico-sociale che rendono in certo individuo più vulnerabile rispetto ad altri nello sviluppare una dipendenza da gioco. In queste persone quasi sempre il gioco inizia come per tutti, in modo casuale, magari in circostanze di tipo sociale. Poi in genere capita una grossa vincita, che induce il giocatore a pensare che vincere è possibile a magari anche facile. Da qui si assiste ad un aumento del tempo dedicato al gioco e del denaro investito. Contemporaneamente le perdite iniziano a farsi sentire. Il gioco diviene sempre più individuale e rappresenta a questo punto una fuga dai problemi che si sono venuti a creare in ambito economico, familiare e sociale in genere.
Se la 'carriera' prosegue il giocatore arriva ad accumulare sempre più debiti, arrivando a commettere anche reati ed azioni illegali aventi lo scopo di procurarsi altro denaro. Si arriva quindi ad una fase di disperazione che può portare alcune persone a decisioni anche drammatiche.
Invece, da qui, alcune persone decidono di chiedere aiuto e iniziare una fase di risalita, che le può condurre nuovamente ad uno stile di vita sano, anche se bisogna ricordare che, in qualsiasi persona abbia avuto una dipendenza, sia essa da una sostanza oppure da un comportamento, per tutto il resto della vita non è più possibile abbassare la guardia rispetto all'oggetto della dipendenza.
Il servizio pubblico, con il Serd, gli SMI privati, oppure dei terapeuti esperti in dipendenze possono aiutare chi ha problemi con il gioco d'azzardo e i suoi familiari a ritrovare la serenità

giovedì 5 febbraio 2015

Assertività e linguaggio del corpo


Dimostrare agli altri più sicurezza e sentirsi a proprio agio (il più possibile) nelle situazioni difficili. Quanti di noi vorrebbero ottenere questi obiettivi?
Ciò non è una cosa innata, nel senso che non si nasce preparati per affrontare nella maniera migliore delle critiche gratuite o eccessive o per sostenere un discorso delicato e difficile di fronte ad una persona di ruolo superiore sul lavoro.
Assertivi, cioè equilibrati, sicuri di sè nella comunicazione, si può però diventare.
In un altro post "Ciò che Giulia dovrebbe imparare: l'assertività" ho parlato di questi argomenti ma mi sembra giusto e opportuno affrontarlo nuovamente, poichè secondo me questo tema rimane sempre centrale in ogni interazione umana.
Oggi vorrei parlare del linguaggio del corpo più adatto da accompagnarsi ad un messaggio di tipo assertivo.
Sappiamo infatti che quando comunichiamo non utilizziamo solo le parole ma tutto il nostro corpo.
La comunicazione fatta con il corpo si chiama "comunicazione non verbale".
Essa comprende: le espressioni del viso, lo sguardo, la postura, cioè la posizione assunta dal corpo durante la comunicazione, la prossemica, cioè la distanza interpersonale tra i due interlocutori che comunicano fra loro, i gesti e anche l'abbigliamento utilizzato, che può essere più o meno adeguato a seconda del contesto in cui ci troviamo.
Con le espressioni del viso possiamo comunicare rabbia, ansia, felicità, e in generale qualsiasi tipo di emozione, anche se non tutte verranno prontamente riconosciute dal nostro interlocutore.
Le persone assertive decidono in genere di manifestare con l'espressione del viso l'emozione che stanno provando. Se vogliono comunicare a qualcuno che non intendono fare qualcosa, la loro espressione sarà seria, non eccessivamente "arrabbiata", ma nemmeno troppo sorridente e eccessivamente "gentile". Se vogliono complimentarsi con qualcuno lo fanno con il sorriso sulle labbra e con uno sguardo rivolto all'interlocutore, che comunica apprezzamento e stima.
Inoltre la persona assertiva sa quando non invadere lo "spazio vitale" dell'altro, sa cioè rispettare una giusta distanza interpersonale, che, approssimativamente, nel contesto italiano (in altre culture potrebbe essere diverso), è all'incirca di un metro.
Cioè, se voglio comunicare qualcosa di importante a qualcuno senza risultare invadente o dare l'impressione di voler prevaricare l'altro, devo mantenere una distanza da questo non inferiore a un metro. Se infrango questa regola, cioè se mi avvicino troppo, potrei dare l'impressione di una persona invadente, che vuole avere la meglio su chi mi sta di fronte.
Le persone assertive, in genere, sanno come adeguare la posizione del corpo alla situazione e, quando devono prestare attenzione ad un messaggio importante tendono ad avere una posizione del corpo che comunica accoglienza ed interesse, leggermente rivolta in avanti, verso chi sta parlando.
Un ultima accortezza riguarda l'utilizzo della voce nella comunicazione assertiva.
Chi vuole trasmettere sicurezza ed equilibrio non urla senza una ragione, ma nemmeno bisbiglia.
Se anche si è molto arrabbiati è importante sforzarsi di non urlare. Chi ci ascolta potrebbe spaventarsi e non riuscire più ad ascoltare ciò che stiamo dicendo.
E voi? Quanto riuscite a comunicare attenzione verso l'altro e sicurezza in voi stessi con il linguaggio del corpo? Quanto siete in grado di usare le caratteristiche della vostra voce in maniera adeguata?
 

martedì 27 gennaio 2015

Cinema e psicologia. Il caso Lorne Malvo


Ultimamente non sarà sfuggito agli appassionati di cinema e serie tv l'interessantissima serie "Fargo". All'interno della serie troneggia un cattivo su tutti: il terribile Lorne Malvo.
Inafferrabile, malvagio, calcolatore, astuto. Un perfetto...criminale.
 
Ma quali sono le caratteristiche di questo personaggio? Quale potrebbe essere il suo profilo psicologico?
Diciamo subito che si potrebbe fare l'ipotesi che ci troviamo in presenza di una persona con Disturbo Antisociale di personalità.


Le persone con questo disturbo non riescono a conformarsi nè alla legge, per cui compiono atti illegali, ad esempio distruggere proprietà, truffare, rubare, nè alle norme sociali, per cui attuano comportamenti immorali e manipolativi, come ad esempio mentire, simulare, usare false identità.
E' questo il caso del personaggio di Malvo, che, per sfuggire al carcere finge di essere addirittura un ecclesiastico, e si premura di attrezzare siti internet con informazioni che gli reggano il gioco.
Un elemento distintivo del disturbo è l'assenza di senso di colpa o rimorso per le proprie azioni, per cui chi ne soffre può far del male a qualcuno e in seguito può restare emotivamente indifferente o dare spiegazioni superficiali dell'accaduto.
I rapporti con gli altri sono superficiali e manipolatori. Il soggetto antisociale può ad esempio mentire allo scopo di ingannare il prossimo, per avere dei vantaggi di tipo personale. L'opinione degli altri circa il proprio operato non conta e viene vissuta per lo più nella più totale indifferenza. Ciò accade poichè la visione degli altri da parte della persona è estremamente negativa. Il soggetto ritiene che se non colpisce per primo verrà attaccato e danneggiato. Questa è spesso anche la giustificazione rispetto alle proprie azioni. "Gli ho fatto del male perchè se lo meritava". "Gli ho fatto del male altrimenti, prima o poi, l'avrebbe fatto lui a me".
L'opinione di sè invece è apparentemente esageratamente positiva. Chi presenta queste caratteristiche può presentarsi come una persona forte e sicura di sè, disinvolta e a suo agio.
Ciò però non si basa su un'autostima reale e su un amore autentico per la propria persona. Ne è riprova il fatto che spesso l'antisociale si mette a rischio e si infila in situazioni pericolose, sottovalutandole, come ad esempio abuso di sostanze stupefacenti, guida spericolata, pratiche sessuali a rischio.
Il quadro tracciato corrisponde a quello di Lorne Malvo?
Secondo il mio parere molti aspetti del disturbo li ritroviamo in questo personaggio e, se incontrate un soggetto come lui un suggerimento banale ma sensato: statene alla larga.