domenica 2 dicembre 2012

La depressione di Marta: che fare

Come possono fare i familiari di Marta per aiutarla a risolvere le sue difficoltà?
Innanzitutto diciamo che Marta a prima vista sembra depressa. Però, prima di diagnosticare un disturbo, è opportuno fare ulteriori approfondimenti, per escludere la presenza di problematiche diverse.
Fatte queste ulteriori indagini è effettivamente però emerso come Marta sia effettivamente depressa.
Vediamo quindi cosa possono fare il marito e i figli per darle un aiuto.
Innanzitutto è importante non ripeterle in continuazione: "Su, dai, datti una mossa! Reagisci, sta a te cambiare se vuoi stare meglio". E nemmeno: "Con tutti i problemi che ci sono al mondo tu stai così! Un lavoro e una casa comunque ce li hai, e anche una famiglia che ti vuole bene!" .
Non è opportuno dire questo perchè la depressione non è una situazione che si risolve solo con la forza di volontà. Serve un programma specifico, sapere cosa fare e cosa non fare e talvolta farsi aiutare da uno specialista psicologo o psicoterapeuta competente. Per una persona depressa, sentirsi dire frasi come queste serve solo ad accrescere i sensi di colpa. Infatti Marta era arrivata a pensare "sto danneggiando tutti con questo comportamento. Tutti mi criticano perchè non sono capace di far niente!".
Non è nemmeno opportuno però, di fronte ad un familiare depresso, togliergli completamente ogni responsabilità. La persona depressa deve cioè continuare a poter fare qualcosa per gli altri, per sentirsi utile e per avere nelle proprie giornate una certa quentità di impegni da portare avanti. Il trattare il depresso come un malato può, talvolta, e spesso in modo del tutto inconsapevole, portarlo a non migliorare, poichè gli si fa sperimentare i cosiddetti "vantaggi secondari" di una malattia. La persona potrebbe cioè vivere positivamente la mancanza di responsabilità e di richiesta di impegno e non migliorare in quanto verrebbe a trovarsi "comoda" in questo ruolo.
Un aspetto importante da non sottovalutare è il contributo negativo che l'isolamento sociale produce in questi casi: di solito le persone depresse tendono spontaneamente ad isolarsi (anche se talvolta questo non capita quando c'è la decisione, per vergogna solitamente, di mascherare la propria depressione; in questi casi succede che apparentemente la persona non sembra depressa mentre in realtà soffre molto e chi la conosce bene noterebbe in lei i sintomi della malattia) e questo le porta a passare ore ed ore a pensare in termini negativi a se stesse e al mondo che le circonda, mantenendo così vivo il proprio dolore. Sarebbe quindi opportuno prevedere che Marta, che tende ad isolarsi spesso, possa ricevere delle visite o recarsi lei a fare visita a qualcuno che giudica simpatico e gradevole.
Un ultimo aspetto riguarda il movimento fisico. Da anni numerose ricerche associano l'attività fisica con la produzione, da parte del cervello umano, di molecole in grado di regolare in positivo il tono dell'umore. Quindi, muoversi fa bene al corpo e anche alla mente.
Se i familiari di Marta metteranno in pratica tutti questi suggerimenti l'aiuteranno sicuramente ad uscire prima dal tunnel della depressione.

sabato 10 novembre 2012

La depressione di Marta

Marta è una donna di 45 anni (ogni elemento che possa rendere riconoscibile la persona è stato eliminato). E' sposata con Lucio, ha due figli di 18 e 13 anni. Di lavoro fa l'addetta alle pulizie e lavora per la stessa cooperativa da 10 anni.
Ultimamente, a causa della crisi economica, l'orario di lavoro ha dovuto subire un ridimensionamento e Marta è passata dal lavorare 8 o 9 ore al giorno al lavorarne 4 o al massimo 5.
Da quando è successo questo Marta è cambiata.
Lucio riferisce che passa molto del suo tempo libero seduta in poltrona fissando il vuoto o al massimo guardando la televisione. Non riesce più ad occuparsi della casa come prima e l'ambiente domestico sembra al marito e ai figli più trascurato rispetto ad un pò di tempo fa.
Con i figli fatica ad avere un dialogo. Essendo entrambi ragazzi adolescenti, mettono duramente alla prova la pazienza dei genitori, ma Marta sembra non riuscire ad affrontare le sfide educative che il suo ruolo di madre imporrebbe. Con loro alterna momenti in cui subisce passivamente tutti i loro "capricci" a momenti in cui è estremamente aggressiva e reagisce urlando anche di fronte a situazioni di modesta gravità.
A volte Lucio la notte la sente piangere a lungo e lei stessa riferisce che il sonno da qualche tempo non è più riposante ed è caratterizzato soprattutto da risvegli precoci.






Lei riferisce inoltre che il mattino è il momento peggiore della giornata. Il pensiero di dover affrontare gli impegni quotidiani la opprime e sente di non farcela a sostenere tutto quello che gli altri si aspettano da lei. Persino andare al lavoro le pesa e Lucio si sorprende e le dice spesso: "Ma insomma! Ti lamenti che sei stanca e che non ce la fai a sopportare tutti i tuoi impegni ma ora fai meno di prima! Ti lamenti del fatto che lavori meno ore di prima ma poi dici che non te la senti di lavorare nemmeno quelle ore!".
Marta si scoraggia di fronte ad affermazioni come queste perchè non si sente sufficientemente brava, come moglie, madre e lavoratrice. Inoltre si sente in colpa perchè si accorge che il marito la rimprovera implicitamente perchè la casa è trascurata e lei non riesce ad occuparsene come prima nè a sostenerlo nella gestione dei figli.
Cosa sta succedendo a Marta? Perchè si comporta in questo modo? Come potrebbe fare per stare meglio? Come possono aiutarla i suoi famigliari?

martedì 7 agosto 2012

Il lavoro con i genitori di Sara


Sara (tutti gli elementi che possono rendere riconoscibili le persone in oggetto sono stati modificati) è una bambina di sette anni, che sta affrontando un periodo difficile della sua vita: la separazione dei suoi genitori.
La sua mamma è preoccupata, perchè da un pò di tempo, da quando i litigi tra papà e mamma si sono fatti più intensi, Sara ha inziato a manifestare tanta rabbia.
Se ne sono accorte le maestre a scuola, perchè risponde male ai compagni, alle maestre stesse, e una volta ha anche picchiato un altro bambino. E questo è strano, perchè normalmente Sara è una bambina tranquilla.
Addirittura è successo che a volte picchiasse anche la mamma. E questo davvero non era mai successo.
Inoltre sono comparse anche alcune paure, che prima non c'erano.
Ad esempio Sara alla sera non vuole più andare a dormire da sola nella sua camera e pretende che la mamma o il papà (che al momento vivono ancora insieme, ma non si sa ancora per quanto) stiano con lei fino a quando non si addormenta.
Non vuole più nemmeno andare a giocare a casa della sua migliore amica, Veronica.
Se è Veronica a venire a casa di Sara va bene, ma non va bene il contrario.

Cosa sta succedendo a Sara?
Perchè ha questi comportamenti di fronte a ciò che sta capitando alla sua famiglia?
Come possono i suoi genitori rendere questo momento il meno brutto possibile?

Cerchiamo di capire innanzitutto cosa sta succedendo a Sara.
Sara prova innanzitutto paura, perchè non sa cosa ne sarà di lei quando i suoi genitori si separeranno. Non sa se avrà più le stesse abitudini, se potrà frequentare gli stessi amici, se potrà fare le cose che da sempre le piacciono.

Prova probabilmente anche molta rabbia, perchè si sente frustrata ed impotente rispetto a ciò che le sta accadendo intorno.
Se avesse potuto scegliere non avrebbe mai voluto che i suoi genitori si separassero.

Ma cosa possono fare proprio i suoi genitori per rendere questo momento a Sara il meno traumatico possibile?
Innanzitutto è importante che non litighino davanti a lei. Le emozioni suddette, insieme anche ad altre, di segno negativo, si amplificano nei bambini che assistono a discussioni accese tra i propri genitori.
Sarebbe giusto che, per le questioni che riguardano la bambina, i suoi genitori riuscissero ad interagire nella maniera migliore possibile.
Inoltre è importante che entrambi si sforzino, anche se non si amano più, di non denigrarsi vicendevolmente davanti a Sara. Per lei è importante sapere di avere una mamma e un papà in gamba, anche se tra loro la stima reciproca si è esaurita.
La situazione migliore sarebbe quella di un genitore che con la propria figlia cerca di parlare in toni positivi dell'altro genitore.
E' infine importante che a Sara vengano per tempo illustrati i cambiamente eventuali a cui la sua vita andrà incontro ma anche le situazioni che rimarranno invariate.

I genitori di Sara, dopo aver adottato i comportamenti suggeriti, hanno chiesto cos'altro potevano fare per rendere il momento della separazione il meno traumatico possibile per la loro bambina.
Una cosa che è importante in assoluto fare è curare l'aspetto della comunicazione in senso lato.
Quindi, al di là dei suggerimenti già pubblicati è importante che un bambino che affronta un momento come questo si senta compreso sia su un piano verbale che non verbale.

Su un piano verbale, come già anticipato nel post precedente, i genitori che intendono separarsi dovranno mettere al corrente (utilizzando le parole adeguate all'età del proprio figlio) i bambini di ciò che avverrà per tempo e non mettendoli di fronte al fatto compiuto. Molti genitori pensano che sia meglio non parlare con i figli prima di separarsi nel timore che ciò li possa allarmare, preoccupare, traumatizzare. Dimenticano però che i bambini hanno antenne sensibilissime verso l'"aria" che si respira in casa e tendono, se non viene loro spiegato nulla, ad ingigantire oltremodo le loro paure, magari pensando di essere la causa della separazione dei genitori.

Inoltre dovranno aiutare i bambini ad esprimere ed accettare le proprie emozioni, anche quelle "negative", di rabbia o di paura, o magari anche di vergogna e senso di colpa, dicendo ad esempio "mi sembri molto arrabbiato/impaurito/ecc., ti va se ne parliamo un pò?" A volte i bambini faticano ad esprimere questo tipo di emozioni, anche per timore di offendere o far arrabbiare l'adulto. E' invece importante che ciò avvenga. A tal fine si può predisporre una sorta di gioco dove genitori, in fase di separazione, e figli, si siedono allo stesso tavolo e raccontano ognuno qualche emozione spiacevole che hanno sperimentato negli ultimi giorni. Alla fine del gioco si può decidere di premiarsi e di consolarsi con una passeggiata, o con un momento speciale da passare insieme al bambino.

A livello non verbale (che è quell'aspetto della comunicazione che si mette in atto con le espressioni del viso e con i gesti del corpo) è importante comunicare vicinanza e rassicurazione con abbracci, tenendo il bambino per mano, usando in maniera appropriata lo sguardo e le espressioni del viso. Se un bambino vede sul volto del genitore un espressione rabbuiata è probabile che si senta impaurito, confuso o arrabbiato lui stesso, anche senza che il genitore abbia detto o fatto nulla.

Un ultimo aspetto che è importante curare, soprattutto dopo la separazione, è il mantenimento di alcune routine. Ad esempio è importante che il bambino conservi all'incirca gli stessi orari per il gioco, per il riposo, per i pasti, sia a casa della mamma che in quella del papà (nel caso in cui sia il bambino a doversi spostare), che possa portare con sè i suoi giochi preferiti.
Se i genitori di Sara riusciranno a mettere in atto questi suggerimenti aiuteranno la bimba a superare questo momento nel migliore dei modi possibili.

* Buona parte del lavoro con i genitori di Sara è stato effettuato prendendo spunto dal libro di Pellai A. e Tamborini B. "Vi lasciate o mi lasciate?" Erickson 

giovedì 26 luglio 2012

I genitori di Sara si separano

Sara (tutti gli elementi che possono rendere riconoscibili le persone in oggetto sono stati modificati) è una bambina di sette anni, che sta affrontando un periodo difficile della sua vita: la separazione dei suoi genitori.
La sua mamma è preoccupata, perchè da un pò di tempo, da quando i litigi tra papà e mamma si sono fatti più intensi, Sara ha inziato a manifestare tanta rabbia.
Se ne sono accorte le maestre a scuola, perchè risponde male ai compagni, alle maestre stesse, e una volta ha anche picchiato un altro bambino. E questo è strano, perchè normalmente Sara è una bambina tranquilla.
Addirittura è successo che a volte picchiasse anche la mamma. E questo davvero non era mai successo.
Inoltre sono comparse anche alcune paure, che prima non c'erano.
Ad esempio Sara alla sera non vuole più andare a dormire da sola nella sua camera e pretende che la mamma o il papà (che al momento vivono ancora insieme, ma non si sa ancora per quanto) stiano con lei fino a quando non si addormenta.
Non vuole più nemmeno andare a giocare a casa della sua migliore amica, Veronica.
Se è Veronica a venire a casa di Sara va bene, ma non va bene il contrario.
Cosa sta succedendo a Sara?
Perchè ha questi comportamenti di fronte a ciò che sta capitando alla sua famiglia?
Come possono i suoi genitori rendere questo momento il meno brutto possibilie?

sabato 16 giugno 2012

Ciò che Giulia dovrebbe imparare: l'assertività

Lo stile di comunicazione assertivo è un particolare modo di comunicare, dove chi parla si rivolge al suo interlocutore senza offenderlo o prevaricarlo ma nemmeno senza mettersi in posizione di inferiorità.
Questo modo di rapportarsi agli altri è utile quando si intende impostare una comunicazione basata sul riconoscimento dei propri e altrui diritti.
In altre parole, chi riesce a comunicare in modo assertivo è in grado di manifestare i propri pensieri, le proprie emozioni, i propri bisogni, e di fare chiare richieste agli altri.
La persona assertiva parla senza accusare gli altri, non si rivolge cioè utilizzando il "tu", ma lo fa usando il pronome "io". Si assume cioè la responsabilità dei propri pensieri e delle proprie parole.
Inoltre, se deve muovere una critica a qualcuno, riesce a fare esempi concreti dei comportamenti che non le vanno e a proporre soluzioni fattibili per la risoluzione del problema.
Poniamo il caso in cui Giulia voglia rivolgersi alla suocera per chiarire le questioni che le stanno a cuore e proviamo a notare la differenza tra queste due frasi.
In un primo caso Giulia potrebbe dirle: "Tu mi consideri una cattiva mamma, ma sbagli a comportarti così con i miei figli! Il tuo comportamento li farà crescere viziati!"
In un secondo caso potrebbe dirle: "Ogni volta che tu prendi i miei figli e li porti a casa tua dopo che li ho sgridati per aver combinato qualcosa mi sento male. Mi sento arrabbiata e preoccupata perchè ho paura che possano crescere nel non rispetto delle regole. Tu cosa ne pensi? Ti ringrazio invece per ogni volta che mi tieni i bambini quando io sono impegnata col lavoro".
Il secondo caso è un esempio di risposta assertiva: non offende, non giudica, si riferisce a fatti specifici.
Se Giulia riuscisse a rivolgersi alla suocera in questo modo getterebbe delle buone basi per l'inizio di un dialogo costruttivo circa l'educazione dei bambini.

domenica 3 giugno 2012

Lo stile di comunicazione di Giulia

Lo stile di comunicazione che Giulia utilizza nei confronti della suocera è di tipo passivo.
Vediamo in modo più approfondito quali sono le caratteristiche di questo modo di comunicare:
la comunicazione di tipo passivo è caratterizzata da un atteggiamento di minimizzazione delle proprie posizioni, e dalla rinuncia ad esprimere le proprie idee. Di solito, chi adotta questo stile di comunicazione crede che siano più importanti i pensieri o i desideri degli altri rispetto ai propri.
Oppure teme di pagare delle conseguenze salatissime se facesse valere le proprie ragioni.
Oppure crede che agendo in questo modo evita di offendere o disturbare gli altri, che per questa ragione potrebbero amarlo o apprezzarlo di più.
Talvolta lo stile di comunicazione passivo si può riconoscere da alcuni segnali esteriori: un basso volume di voce, lo sguardo sfuggente, le esitazioni, il corpo non rilassato.
Di solito le persone che comunicano in questo modo con gli altri hanno una scarsa stima di sè, perchè si accorgono che non riescono a raggiungere gli obiettivi importanti per loro.
Si sentono inoltre frustrate e arrabbiate, da una parte con se stesse perchè "non riescono a farsi valere" e dall'altra talvolta anche con gli altri che "dovrebbero capire".
Ma come si comportano gli altri, coloro che vivono a contatto con la persona "passiva"?
In genere, se pure in un primo momento per qualcuno potrebbe essere "comodo" avere a che fare con una persona che non dice mai di no, che sembra accettare tutto, a lungo andare questo comportamento diventa fastidioso. Sono soprattutto le persone affettivamente più vicine quelle che si stancano per prime di questi atteggiamenti. Infatti a pochi fa piacere avere un compagno, una compagna o un amico che non dice mai la sua opinione, che dà sempre ragione all'altro. La sensazione è infatti quella di avere al proprio fianco una marionetta e non una persona che possa essere di stimolo al confronto e alla crescita personale.

domenica 27 maggio 2012

La passività di Giulia

Giulia (il nome ed altri dati che possono rendere riconoscibile la persona sono stati completamente modificati) è una donna di 35 anni, sposata e madre di due bambini piccoli.
Abita a fianco dei suoceri, che definisce un pò "invadenti". Nello specifico fatica a gestire quelle che lei definisce "le continue ingerenze" della suocera nella sua vita privata e, in particolare, nel suo ruolo di madre.
Ma vediamo cosa accade in dettaglio: quando Giulia riprende i bambini per aver fatto qualcosa di sbagliato, la suocera la critica dicendole che non dovrebbe essere così dura e prende i bambini con sè, portandoli nel proprio appartamento, dove li "consola" permettendogli di mangiare il gelato davanti alla tv (quando la mamma magari poco prima l'aveva spenta perchè accesa da troppo tempo).
Inoltre Giulia sta cercando di insegnare al figlio più piccolo, che ha tre anni, a mangiare da solo con le posate. Ma quando si ritrovano a mangiare tutti insieme, la suocera lo prende in braccio ed inizia ad imboccarlo dicendo che "così si fa prima e il bambino non si sporca". In altre situazioni accade che la suocera concede ciò che Giulia vieta e che la critichi ritenendola "troppo severa".
Davanti a questi comportamenti Giulia non riesce a dire nulla. Teme di offenderla e di dimostrarsi ingrata, perchè ogni pomeriggio le tiene i figli quando Giulia è al lavoro. Inoltre teme che la suocera, sentendosi criticata, possa rifiutarsi di badare ai bimbi, creando a Giulia e a suo marito non pochi problemi.
Così si lamenta col marito, che ha già provato a parlare con la madre, ma i problemi sembrano non essersi ancora risolti del tutto. Progressivamente aumentano la frustrazione, l'ansia quando la suocera è presente ed il risentimento.
Quali sono gli errori che Giulia involontariamente commette? Cosa può fare per migliorare la situazione?

venerdì 11 maggio 2012

Gli errori di Marianna e possibili soluzioni

Sicuramente Marianna, nell'affrontare la sua insonnia, ha commesso, se pur involontariamente, degli errori.
Il primo errore è il rimanere a letto per molto tempo sveglia, guardando il soffitto.
In questo modo, in breve tempo si viene a realizzare l'associazione "sto a letto-sto sveglia", che non permette successivamente l'instaurasi di una condizione psicofisica di relax. In pratica, nella mente di Marianna si è attivata la convinzione: "ogni volta che mi corico starò sveglia".
In questa situazione sarebbe invece più utile se Marianna, una volta accortasi che ha trascorso circa un quarto d'ora-venti minuti sveglia, si alzasse e si dedicasse, all'esterno della stanza da letto, ad un'attività rilassante, come leggere un libro o guardare la televisione. Trascorso circa un quarto d'ora, potrebbe riprovare a coricarsi e rifare la stessa cosa nel caso in cui non prendesse sonno dopo una ventina di minuti. In questo modo si verrebbe a ricomporre l'associazione "sto a letto-dormo".
Un secondo errore che Marianna compie è quello di preoccuparsi delle ore di sonno perse. Il nostro corpo e la nostra mente funzionano anche se dormiamo poco. Certo, fanno più fatica, ma non ci lasciano certo in panne! Coricarsi preoccupandosi delle conseguenze del dormire poco genera uno stato di attivazione psicofisica che è poco compatibile con il relax necessario per favorire l'addormentamento.
Un terzo errore consiste nel fare pisolini diurni, nel tentativo di recuperare il sonno perduto durante la notte. Questo è uno sbaglio perchè il corpo di giorno comunque riposa e il "monte ore" totale di sonno necessario di conseguenza diminuisce. Marianna ne pagherà le spese durante la notte, quando rimarrà probabilmente sveglia.
Un ultimo errore consiste nell'aver ridotto all'osso la vita sociale. In questo modo Marianna ha più tempo per rimuginare, per preoccuparsi dei danni del dormire poco, con le conseguenze sopra esposte.
Quindi Marianna dovrebbe:
-dormire solo la notte e non di giorno
-non stare a letto sveglia
-cercare di non preoccuparsi delle conseguenze dell'insonnia
-cercare di tenersi impegnata durante la giornata.

venerdì 4 maggio 2012

L'insonnia di Marianna

Marianna (sono stati modificati i dati che possono rendere la persona riconoscibile) è una donna di 45 anni, che lavora part time come segretaria, ha un figlio di 10 anni e un marito con cui ha una buona relazione di coppia. Ma ha un problema: da diversi mesi ormai non dorme, o meglio, dorme poco e male.
Si corica verso le 23.00, però non prende il sonno subito. Di solito, trascorsa un'ora a letto guardando il soffitto, inizia ad agitarsi, pensando a quanto sarà pesante il giorno seguente, alle cose da fare l'indomani, a quelle che si è dimenticata di fare nella giornata appena conclusa. Durante la notte si risveglia almeno due o tre volte, e riparte con i pensieri sopra esposti.
Al mattino si sveglia con la testa pesante, durante il giorno è distratta e tende a dimenticarsi le cose.
Si sta preoccupando molto di questa situazione: "se continuerò a dormire così poco mi ammalerò!", "come mai mio marito e mio figlio dormono e io no? Sicuramente c'è qualcosa di sbagliato in me!", "non riuscirò a svolgere le mie faccende quotidiane se non riposo almeno 8 ore a notte!".  E così via.
Durante la giornata, quando rientra dal lavoro molto stanca, cerca di fare un sonnellino, lei dice "per recuperare il sonno perso durante la notte" e in generale cerca di affaticarsi poco, poichè si sente fisicamente e mentalmente spossata. Ha abbandonato il corso di nuoto che aveva iniziato e tende a declinare gli inviti delle amiche, perchè "troppo stanca".
Come può fare Marianna per migliorare il suo sonno? Ci sono degli errori che, inconsapevolmente commette?

venerdì 27 aprile 2012

Il lavoro con Luca

Chiediamoci come mai Luca non riesce ad avere successo con le ragazze.
Lui crede che i sintomi dell'ansia che sperimenta (diventare rosso, sudare ecc.) siano giudicati negativamente dall'altro (dall'altra, in questo caso). Crede che chi lo vede arrossire lo giudichi eccessivamente timido, e magari anche debole.

Poniamoci poi le seguenti domande:

1) Davvero i sintomi che Luca sente sono così visibili all'esterno?

2) E davvero l'altro li giudica i segnali di qualche importante mancanza personale?

3) Se anche Luca, imbarazzandosi, arrossisce o suda, è comunque meglio per lui provare a conoscere qualche ragazza o forse rinunciarvi?

4) Quali costi paga Luca per tirarsi indietro ogni volta che si trova in una situazione in cui ci sono delle ragazze?

Per rispondere alla seconda domanda ho provato a ribaltare la situazione, chiedendo a Luca cosa pensarebbe di una persona appena conosciuta che, di fronte a lui, iniziasse a sudare o ad arrossire.
Tra le ipotesi trovate: che la persona potesse essere accaldata, sentirsi poco bene, o fosse timida.
Quindi un lavoro importante è stato individuare le molteplici cause del rossore e dell'incremento della sudorazione, per trovarvi delle ragioni alternative, non escludendo la timidezz,a ma non mettendola come unica causa.
Se Luca stesso attribuiva a più ragioni questi segnali fisiologici, perchè non avrebbero potuto farlo altri o altre nei suoi confronti?
Luca ha risposto alla terza e quarta domanda sostenendo che, continuando ad evitare ogni occasione di conoscenza, non sarebbe mai riuscito a trovare una ragazza e ciò andava nella direzione opposta a ciò che lui desiderava per sè.
Per rispondere alla prima domanda abbiamo chiesto a Luca di sperimentarsi in una situazione in cui si sentisse relativamente tranquillo e a proprio agio e lui ha individuato il gruppo del corso di inglese che stava frequentando.
Abbiamo chiesto, in accordo con Luca, a due suoi amici, anch'essi frequentanti il corso, di osservarlo mentre interagiva con una compagna di corso con la quale non aveva mai parlato in precendenza e di annotarsi i segni visibili di ansia.
Alla fine abbiamo confrontato le osservazioni degli amici con quelle di Luca.
Ebbene, Luca sosteneva che la sudorazione e il rossore fossero estremamente visibili, mentre gli amici sostenevano che il rossore era durato solo pochi istanti e non avevano notato la sudorazione.
Questa constatazione servì per riportare Luca su un piano di maggior aderenza alla realtà e gli diede coraggio e voglia di sperimentarsi in altre situazioni.
Abbiamo quindi costruito una scala di situazioni, dalla più semplice alla più difficile, in cui Luca potesse mettersi alla prova.
Ora le sta affrontando, si sente più sicuro, e percepisce meno intensamente i sintomi dell'ansia che prima lo preoccupavano tanto.

sabato 21 aprile 2012

La timidezza di Luca

Luca (il nome è di pura invenzione) è un ragazzo di 28 anni, carino, con un buon lavoro.
Però è convinto di non piacere alle ragazze. Si sente goffo, impacciato, uno "sfigato".
Quando ne conosce una è rigido, sorride poco, non si lascia andare, per paura di sbagliare e di dimostrare alla ragazza che è proprio lo "sfigato" che crede di essere..
La settimana scorsa ne ha conosciuta una in treno mentre era in viaggio per lavoro.
Veramente è stata lei ad iniziare la conversazione. Mentre parlavano lui pensava: "Ecco, ora si accorgerà che divendo rosso. Oddio, sto sudando!". Per evitare di provare quel disagio, di stare nell'ansia e nell'imbarazzo, Luca ha cercato di parlare il meno possibile, e non appena è stato possibile, si è immerso nella lettura del libro che aveva con se.
Quindi la ragazza ha smesso ben presto di cercare argomenti di conversazione.
Luca poi si è mangiato le mani: era veramente una ragazza carina! Poteva valere la pena parlarci di più, e magari conoscerla meglio.
Luca ha bisogno di modificare l'idea che ha di se stesso, e di fare qualche esperimento, di mettersi alla prova gradualmente in qualche situazione tra quelle per lui "difficili" cercando di comportarsi, pian piano, in modo differente dal solito. Se lo farà, in un tempo abbastanza breve l'ansia che prova in queste situazioni sarà meno forte; ciò gli permetterà di trovare qualche argomento di conversazione e magari di divertirsi e non sentirsi più bloccato dentro i suoi stessi panni.

venerdì 20 aprile 2012

Le parole "sempre" e "mai":

Spesso, nelle discussioni tra marito e moglie, tra fidanzati, tra genitori e figli, si dicono frasi come: "Sei sempre lo stesso! Non cambierai mai!". Sono frasi che escono spontaneamente, eppure non sono efficaci nello svolgimento di un conflitto.
Innanzitutto non lo sono perchè non dicono quasi mai il vero: è forse possibile che l'altro sbagli sempre? Che non faccia mai una cosa giusta? Nemmeno per una volta?
Poi, soprattutto, trasmettono all'altro una profonda sfiducia nei suoi confronti: la sfiducia che lui/lei possa cambiare..

E allora perchè mai l'altro dovrebbe cambiare, se gli trasmettiamo in primis noi che non crediamo nella possibilità che ciò accada?

martedì 17 aprile 2012

La rabbia

Cos'è la rabbia?
Di solito ci arrabbiamo quando percepiamo di aver subito un torto.
Il corpo quindi si attiva, il battito cardiaco accelera, i muscoli si preparano all'azione.
Il cervello produce frasi di franco odio dirette al responsabile, verso chi ha commesso questo torto verso di noi.
Eppure se si riesce ad andare oltre, a non farsi accecare dalla rabbia, essa può darci la spinta, la motivazione a superare gli ostacoli che si frappongono tra noi e i nostri obiettivi. Questa è la visione 'positiva' della rabbia, che può essere intesa come l'emozione che dá la motivazione, la spinta a cambiare ciò che non ci va e che è possibile modificare.
L'importante è non lasciarsi trasportare dalla rabbia, che può far commettere azioni, dire frasi, di cui poi ci potremmo pentire.
Quante volte, per esempio durante un litigio, si dicono parole che non si vorrebbe mai aver pronunciato? Alzi la mano colui al quale non è capitato mai!
Allora bisogna imparare a "pensare la rabbia", riflettere prima di agire, pensare a quali sono i nostri obiettivi e a cosa vorremmo ottenere. Infatti sull' "onda della rabbia" si possono commettere azioni impulsive, fare cose che potrebbero avere conseguenze spiacevoli per noi o per altri, o di cui ci potremmo anche vergognare.
Infatti, alcuni comportamenti aggressivi, hanno spesso conseguenze a cui difficilmente si riesce a rimediare.
Una delle motivazioni che spingono le persone a provare rabbia intensamente verso qualcun altro è la convinzione che l'altro abbia "fatto apposta" a fare ciò che ha fatto.
 In realtá, per lo meno in alcuni casi, questo non avviene. Sono poche le situazioni in cui se qualcuno ci ha fatto un torto lo ha fatto con la deliberata e consapevole intenzione di ferirci, sapendo che ciò sarebbe successo e agendo in maniera lucida e mirata.
Il più delle volte, una persona ci ferisce per noncuranza, perchè non ha pensato bene all'effetto che le sue parole potevano avere su di noi, perché era emotivamente alterato, oppure ancora per interesse personale, per raggiungere scopi suoi percorrendo una strada su cui, casualmente, siamo capitati noi proprio in un particolare momento e siamo stato investiti dalle sue parole e dai suoi modi.

Prima di rispondere sull'onda della rabbia devo quindi chiedermi.

1) chi mi ha ferito lo ha fatto apposta? A volte riteniamo che ci sia cattiva fede in un gesto che magari viene fatto per pura sbadataggine.

2) sapeva che mi avrebbe fatto del male? Può succedere che chi ci ferisce lo faccia senza pensare alle conseguenze, anzi, potrebbe, magari sbagliando, pensare pure che alcune cose le faccia "per il nostro bene".

3) si è comportato così solo con me o anche con altri? Alcune persone si comportano scorrettamente in molti contesti. Questo non riduce la gravità del loro comportamento ma forse considerare che una persona si comporta male perché "è fatta così " e non perché "ce l'ha con me" può aiutare a mettere le cose nella giusta prospettiva.

4) quanto è importante realmente ciò che è accaduto? Possiamo provare a pensare "quanto mi importerà di ciò che è accaduto tra un anno? E tra due anni?" "Ciò che è accaduto mi ha sicuramente ferito ma ci sono altre cose che giudico più importanti nella mia vita attualmente?"

5) cosa posso fare per risolvere la situazione? Qui si tratta di pensare se c'è un modo concreto per riparare al danno subito. Posso pensare ad un intervento sul contesto, sulla situazione in cui mi trovo, o a un chiarimento con la persona il cui comportamento ha generato la mia rabbia.

Riuscire a porsi queste domande e a rispondervi ė un buon passo per arrabbiarsi...usando la testa.

Quindi, concretamente, come fare per evitare di esplodere?

1) allontanarsi dalla situazione quando ci si accorge di essere 'troppo carichi'. Questo permette a volte di evitare conseguenze peggiori.

2) se si è nell'impossibilitá di allontanarsi, immaginarsi la situazione che si sta vivendo come se la si vedesse da un binocolo rovesciato, in modo da farla apparire piccolissima e distante. Questa è una tecnica che può aiutare a "distaccarsi" mentalmente dalla situazione. Ad esempio, una mamma vede il suo bambino che sta facendo un capriccio. Può usare questa tecnica per evitare di "esplodere" e di spaventare quindi il bambino.

3) contare all'indietro da 100 meno 7, per numerose volte. Questa è un modo che serve per distrarsi e "prendere tempo" aspettando che l'emotività si abbassi.

4) se non si riesce a calmarsi e ad affrontare l'interlocutore, rimandare ogni discussione ad un momento di maggiore tranquillitá

5) pensare che, se la questione da trattare ė importante, ciò che conta non ė vincere tutto subito, ma salvaguardare il rapporto con l'interlocutore, in modo da avere ulteriori chanches in futuro di portare avanti le proprie necessitá.



domenica 15 aprile 2012

cosa sono le emozioni?

Le emozioni sono il nostro modo di rapportarci al mondo.
Tutte le persone si emozionano e non esistono emozioni "giuste" o "sbagliate".
Se proviamo un'emozione in un determinato momento una ragione c'è!
Anche le più sgradevoli, come l'ansia, la paura, la rabbia, la tristezza, l'invidia, la vergogna servono a qualcosa e, quando si provano, innanzitutto vanno accettate.
Caso mai si può provare a modificarne l'intensità se ci accorgiamo che proviamo "troppa ansia" o la sperimentiamo in situazioni che non ne richiederebbero la presenza.
Sento alcune mamme al parco che, di fronte ai loro bambini che hanno paura di scendere dallo scivolo o che si intimidiscono di fronte all'arrivo di un nuovo bimbo, quasi lo"deridono", dicendogli :
"Ma dai, fifone! Di cosa hai paura!" oppure "Ma come sei timido! Svegliati un pò, che non ti mangiano mica gli altri bimbi!".
Sicuramente queste mamme sono mosse dal tentativo di aiutare i bimbi, però, senza saperlo, commettono un errore: non li fanno sentire accettati per quello che sono e per quello che provano.